Bonvicini v/s Mies van der Rohe

L’artista contesta la figura patriarcale del celebre architetto, artefice di uno dei musei simbolo della capitale tedesca

«Never Again» (2005), di Monica Bonvicini. Cortesia dell’artista. © Monica Bonvicini e VG-Bildkunst, Bonn. Foto: Rikke Luna
Francesca Petretto |  | Berlino

La Neue Nationalgalerie ospita dal 25 novembre al 7 maggio la vasta personale «Monica Bonvicini: I do You», che rende omaggio a un’artista (Venezia, 1965) che ha scelto Berlino come sua seconda patria. La mostra, curata da Irina Hiebert Grun e Joachim Jäger, presenta sue nuove installazioni, opere performative e sonore, oltre a una selezione antologica di lavori.

Già nel 1998, con la sua scultura «2-Tonnen-Alte-Nationalgalerie» (tonnellate di Alte Nationalgalerie), Bonvicini si confrontava criticamente con il massiccio processo di ricostruzione urbana allora in corso a Berlino. Molte delle riconversioni di edifici significavano non solo riparare e rinnovare, ma soprattutto confrontarsi con la storia politica della metropoli, teatro delle vicende più traumatiche del Novecento.

Ventiquattro anni dopo l’artista incontra nuovamente il monolito della Neue Nationalgalerie, fresco di restauro: Bonvicini vi esplora «i meccanismi nascosti della modernità», la sua carica sessuale/sessista e le mitizzazioni che sempre la accompagnano. Le relazioni di genere e gli ordini sociali inscritti nell’architettura e nel museo vengono smascherati e destabilizzati in maniera ironica e dissacrante.

Le sculture inserite nelle sale sono inviti a entrare in nuovi spazi di esperienza. Questa trasformazione dell’architettura modernista di Mies van der Rohe attraverso atti, per l’appunto di «vandalismo femminista radicale», è un’azione tipica della pratica di Bonvicini. L’interazione tra interventi performativi e opere scultoree invita il pubblico a mettere in discussione categorie obsolete: la Neue Nationalgalerie quale icona di un tempo tramontato eppure celebrato punto di vanto, immeritato secondo l’artista, dalla Berlino di oggi; ma anche la figura patriarcale di Mies van der Rohe.

Il visitatore è inoltre esortato a esaminare alcuni aspetti del museo precedentemente trascurati. Bonvicini trasforma l’edificio, e dunque lo spazio pubblico, in un piano di negoziazione del privato: come ci comportiamo nello spazio? Quali strutture e relazioni di potere sono inscritte nel pavimento, nelle pareti o nelle grandi facciate in vetro? Lo spazio della Neue Nationalgalerie viene fondamentalmente ridefinito. L’ambiente si trasforma in questa dissonanza multisensoriale, un disturbo che si afferma e destabilizza al contempo.

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