Biennale di Architettura: «Il laboratorio del futuro» è africano e diasporico
Per la Mostra Internazionale Lesley Lokko ha selezionato 89 «practitioner» dall’età media di 43 anni. 63 partecipazioni nazionali: il Niger è la new entry, la Russia non ha chiesto di essere presente mentre l’Ucraina, attualmente assente, può contare sul sostegno dell’istituzione veneziana

Con un concreto inciso sul conflitto ucraino ancora in corso il presidente della Biennale Roberto Cicutto ha aperto la conferenza stampa della 18ma Mostra Internazionale di Architettura di Venezia titolata «The Laboratory of the Future» (20 maggio-26 novembre, preview 18 e 19 maggio) a cura di Lesley Lokko. «Un anno fa, dichiara Cicutto, in occasione della Biennale Arte, il nostro problema era come supportare il Padiglione Ucraino: pensavamo che per la sua inaugurazione la guerra sarebbe finita». Per questa Biennale Architettura, alla quale la Russia non ha chiesto di partecipare, un padiglione dedicato all’Ucraina ancora non c’è ma l’istituzione veneziana si dichiara pronta a sostenerlo. Un approccio doveroso, così come doveroso, sottolinea ancora il presidente, è ricordare i Paesi vittime di violazione della libertà o schiacciati dalle sofferenze come Iran, Turchia e Siria.
Del resto ancora una volta l’architettura sembra essere chiamata a fornire risposte immediate a bisogni urgenti per la sopravvivenza della Terra e la Biennale, come luogo d’osservazione globale, ha il compito di toccare i problemi del presente con un occhio rivolto al futuro.
«Il laboratorio del futuro» immaginato da Lokko, architetta d’origine ghanese, parte dal suo continente d’origine, l’Africa e da una riflessione «sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo». Impossibile quindi non pensare a questa edizione se non come a un agente di cambiamento che parta da «un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo. Nell’architettura, in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità, prosegue Lokko. La storia dell’architettura è dunque incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti. Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia».
La struttura della 18ma Biennale d’Architettura
89 i partecipanti di cui oltre metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana con un equilibrio di genere paritario e un’età media di 43 anni.
Concentrati nel Padiglione Centrale ai Giardini sono 16 studi in rappresentanza della produzione architettonica africana e diasporica denominata Force Majeure: Adjaye Associates, Cave_bureau, Mass Design Group, Softlab@Psu, Kéré Architecture, Ibrahim Mahama, Koffi & Diabaté Architectes, atelier masōmī, Olalekan Jeyifous, Studio Sean Canty, Sumayya Vally e Moad Musbahi, Thandi Loewenson, Theaster Gates Studio, Urban American City (Toni Griffin).
All’Arsenale, nella sezione «Dangerous Liaisons» (declinata anche in terraferma, a Mestre, a Forte Marghera), 37 partecipanti si confrontano con i due temi principali della Mostra: decolonizzazione e decarbonizzazione. Tra questi: Ad-Wo (New York, Usa), Bdr bureau e carton123 architecten (Torino, Italia; Bruxelles, Belgio), orizzontale (Roma, Italia), Kate Otten Architects (Johannesburg, Repubblica Sud Africa), Le laboratoire d'architecture (Ginevra, Svizzera).
I Progetti Speciali
Suddivisi tra Padiglione Centrale ai Giardini e Arsenale, i Progetti Speciali del Curatore includono i lavori dei «Guests from the Future», 22 giovani «practitioner» (così Lesley Lokko preferisce definire in generale i partecipanti) africani e diasporici. Accanto ad essi, «Food, Agriculture & Climate Change», «Gender & Geography» e «Mnemonic». Né poteva mancare anche in questa edizione il Progetto Speciale Padiglione delle Arti Applicate (sempre in collaborazione con il Victoria & Albert Museum) dal titolo «Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale». Un’installazione cinematografica multicanale riflette criticamente sulla storia imperiale del Modernismo tropicale, inizialmente elaborato come strumento di dominio coloniale e in seguito adattato dagli architetti dell’Africa occidentale per promuovere l’entusiasmo e le rinnovate possibilità all’indomani dell’indipendenza del Ghana.
Le partecipazioni Nazionali
Sono 63 in totale tra Giardini, Arsenale e centro storico. Il Niger si distingue come nuova partecipazione, mentre Panama è presente per la prima volta con un padiglione proprio. Ritorna, dopo la prima esperienza del 2018, il Padiglione della Santa Sede dal titolo «Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino», per la curatela di Roberto Cremascoli e che vedrà come espositori Álvaro Siza e Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Fancesca Riva) presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, sull’Isola di San Giorgio.