Gian Lorenzo Bernini, «Salvator Mundi», Roma, Chiesa di San Salvatore fuori le mura

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Gian Lorenzo Bernini, «Salvator Mundi», Roma, Chiesa di San Salvatore fuori le mura

Bernini, Alfano e la Sagra del Mandorlo in fiore

Silvia Mazza

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Agrigento. Nella relazione del 6 ottobre 2014 la Commissione voluta dal ministro Dario Franceschini per verificare la trasportabilità dei Bronzi di Riace all’Expo di Milano, oltre a esprimere un parere negativo sull’operazione, aveva anche colto l’occasione per sottoporre all’attenzione del ministro alcuni temi di riflessione, auspicando «l’adozione di linee guida sulle procedure da seguire nel caso di prestiti e trasferimenti di opere d’arte». Al punto 5, in particolare, chiede «di tassativamente evitare il prestito per operazioni di discutibile o nulla qualità scientifica».

Il preambolo ci sembra utile a introdurre il caso sollevato da Tomaso Montanari su «la Repubblica» del 9 febbraio scorso, perché, unitamente alle condizioni di «straordinaria fragilità» dell’opera, l’assenza di spessore culturale dell’operazione sarebbe il motivo per cui non andava concesso il prestito del «Salvator Mundi» custodito nella chiesa romana di San Sebastiano fuori le Mura, ultimo capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, che lo storico dell’arte sostiene avvenire in occasione della sagra del Mandorlo in fiore ad Agrigento, dove il busto marmoreo verrà trasferito il 20 febbraio, rispondendo a un presunto esclusivo interesse clientelare. E mette di mezzo il ministro Angelino Alfano che si sarebbe interessato al trasferimento dell’opera di proprietà del Fec, il Fondo edifici di culto del Ministero degli Interni.

Sennonché, bastava rimettere in ordine un po’ la cronologia degli eventi e sentire le istituzioni preposte alla tutela coinvolte per scoprire come le cose stiano diversamente.
Il prestito della statua, infatti, il suo progetto scientifico ce l’ha, e si deve alla Soprintendenza di Agrigento, e non al comitato organizzatore di una sagra, che pure un sussulto da parte di qualche buon etnoantropologo dovrebbe ricordare essere una delle più rinomate e antiche di Sicilia, risalendo al 1937, e legata a un mito cantato da Omero; insomma non proprio una sagra delle salsicce a cui frettolosamente certa stampa l’ha accostata. Ma, in ogni caso, il prestito non si lega a quest’evento, ma al progetto, avviato nel dicembre 2014, con cui la Soprintendenza intendeva esporre un’opera del Fec in una chiesa di proprietà dello stesso Fondo, di cui era stato ultimato il restauro, esteso anche all’apparato decorativo a stucco di Giacomo Serpotta.

La data originariamente prevista avrebbe dovuto coincidere con  la Pasqua 2015 e fu preso in considerazione, coerentemente,  il prestito del Bernini, con un’iconografia, il Salvator Mundi, in tema con la ricorrenza religiosa. L’evento poi, però, slittò in attesa dell’autorizzazione al  prestito da parte del Mibact, che data il 30 luglio (mentre Montanari sostiene che «agli uffici del Ministero non risulta ancora pervenuta»), a seguito del parere favorevole al Fec espresso, il mese prima, dalla Soprintendenza di Roma.

E, infatti, a rileggere le dichiarazioni rilasciate allora da Alfano si ha una controprova non solo che era in quell’estate che la mostra avrebbe dovuto vedere la luce, ma che lo stesso ministro non facesse altro che riferire di un progetto bello che fatto. E dire che quelle dichiarazioni è lo stesso Montanari a riportarle nel suo articolo: «Durante una visita in patria del giugno scorso, Alfano annunciò: "Come responsabile del Fondo Edifici di Culto, ho lavorato nei giorni scorsi, insieme al prefetto, per realizzare un’importante esposizione di una o più opere provenienti dalle chiese che sono sotto la governance del Ministero dell'interno. Probabilmente si realizzerà a luglio, dovrebbe arrivare qui un Bernini». E anche il sindaco Calogero Firetto perché sostiene di avere chiesto lui ad Alfano il prestito del Bernini a luglio 2015 se quando la Soprintendenza aveva avviato il progetto, mesi prima, era ancora sindaco di Porto Empedocle? Né diremo nulla di nuovo spiegando che poi la Soprintendenza, a corto come tutte le altre di organico, non sia arrivata a rispettare quella scadenza estiva, dando la precedenza, tra l’altro, all’allestimento degli «ori» che di lì a qualche mese sarebbero arrivati in prestito dal British Museum (cfr. ed. online 25 novembre 2015) e all’inaugurazione (16 dicembre) del Museo Civico Archeologico di Sant’Angelo Muxaro (cfr. n. febb. ’16).
Così si arriva alla data adesso fissata per l’esposizione del marmo, dal 20 febbraio al 30 marzo, in occasione della Pasqua, che quest’anno coincide con la sagra del Mandorlo in fiore, ma così non era l’anno scorso, per quando, abbiamo visto, era stato pensato il progetto espositivo.

E qui varrebbe la pena di aprire un inciso sul significato che potrà avere anche in Sicilia, inserita nella recente proposta di riorganizzazione del Dipartimento Beni culturali in fase di concertazione con i sindacati (cfr. n. 358, nov. 15, p. 12), la separazione di tutela e valorizzazione come sta avvenendo nel resto d’Italia, che sgraverà le Soprintendenze, già oberate sul primo fronte, di compiti ai quali non possono che attendere con sforzi e difficoltà, come il caso agrigentino una volta di più dimostra. Ma, allora, venuto meno l’oggetto della sua denuncia, Montanari ritratta? Tutt’altro, al prefetto di Agrigento, direttore centrale del Fec, Angelo Carbone, intervenuto in difesa della validità scientifica della mostra, risponde, non solo respingendo qualunque «rapporto storico-stilistico»  tra il marmo e la chiesa con gli stucchi settecenteschi del Serpotta, ma di nuovo per sostenere che non si sia fatto altro che «impreziosire la sagra»: «Un atto incomprensibile», tuona.

Incomprensibile, in effetti, a chi si ostina a non voler accertare il reale andamento dei fatti. Come pure a Vittorio Sgarbi, che intervenuto a ruota, lo stesso 9 febbraio, dice che «Il Salvator Mundi doveva essere portato a Monza», ma che così non è stato «perché la mostra di Agrigento è stata anticipata», quando invece è ormai chiaro che è trascorsa la bellezza di un anno dalle previsioni di trasferimento nella città della Valle dei Templi.
Lasciando da parte il giudizio critico di Montanari - per cui varrebbe la pena ricordare la qualità  e la dimensione europea del Serpotta colta da studiosi del calibro di Argan e Brandi, per il quale lo scultore è «forse il massimo del Settecento europeo», e a non voler dire che non è poi così immediato respingere qualunque rapporto col Bernini per una «figura
enigmatica, a detta del padre degli studi serpottiani, Donald Garstang, per un tradizionale storico dell’arte» - una volta caduta la motivazione mediaticamente forte della sua denuncia, non si comprende più perché una mostra in una chiesa di una città siciliana necessiti, più di tutte quelle in corso in altre città italiane, della sua revisione critica della validità dei presupposti scientifici.

La voce su Wikipedia
Una vicenda che si è pure tinta di giallo. In quello stesso  9 febbraio in cui esce l’articolo di Montanari, infatti, qualcuno, che usa il nickname di qualcun altro (e il gestore glielo segnala e gli suggerisce un altro nome) ha modificato la voce Wikipedia «Busto del Salvatore», per introdurre la notizia che «Montanari, uno dei maggiori studiosi del Bernini, non ritiene la scultura opera dell’artista», e  in nota, invece di fornire una fonte bibliografica «solida», quale la monografia del 2004 (collana «Grandi scultori», Gruppo Editoriale L’Espresso) in cui lo storico dell'arte nega questa attribuzione («non presenta caratteristiche strettamente berniniane, e ha tutta l’aria di essere una bellissima e sensibile copia protosettecentesca…»), rinvia invece al sito Dagospia col fatto agrigentino, con l’evidente intento dimettere in correlazione le due cose.

Resta, però, ancora un ultimo aspetto di tutta questa storia: se la Soprintendenza romana ha autorizzato il trasferimento del «Salvator Mundi», ciò significa anche che l’opera non è in condizioni conservative critiche o tali, comunque, da impedirne qualsiasi movimentazione.
Se, però, si volesse porre anche per quest’opera lo stesso quesito che era stato sottoposto alla su menzionata Commissione ministeriale per i Bronzi, ovvero «di stabilire se, ed eventualmente a quali condizioni, le statue siano trasportabili senza pregiudizio alcuno per la loro integrità e conservazione», allora anche in questo caso il parere non avrebbe potuto che essere ugualmente negativo, non potendo escludere che tale pregiudizio possa essere causato da eventi imprevedibili, quali calamità naturali o attentati terroristici.
Il fatto è che per Agrigento non c’era motivo di ricorrere a un interrogativo così ambiguamente formulato, non essendoci alcun Expo per il quale non sarebbe stato opportuno che una commissione governativa dichiarasse formalmente che si trattava di un contesto «di discutibile o nulla qualità scientifica», tale da non  giustificare i rischi di trasporto per i Bronzi.

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Silvia Mazza, 16 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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