Balkenhol scolpisce l’esistenza

L’artista tedesco esplora la figura umana, talora ibrida, per raccontarne l’interiorità

«Woman with braid» (2017) di Stephan Balkenhol
Ada Masoero |  | Milano

Mazzuolo, sgorbia, scalpello e pennello: come un antico intagliatore tedesco, Stephan Balkenhol (Fritzlar, Germania, 1957; vive e lavora a Kassel) aggredisce il legno, lo scolpisce e lo intaglia, poi lo dipinge, con pochi colori primari.

Lascia deliberatamente ben evidenti i segni inferti dai suoi strumenti sulla superficie del tronco da cui ricava le sculture o sulla tavola su cui incide i suoi rilievi, prendendo le distanze dai linguaggi artistici tecnologici, quando non smaterializzati, del nostro tempo.
«Man with grey t-shirt and grey back-ground» (2011) di Stephan Balkenhol
Con le sue mani e i suoi strumenti antichi dà vita così, sin dagli anni ’70 (quando l’arte, per essere tale, «doveva» essere minimalista, concettuale o astratta, e «politica»), a un popolo di figure che allora, nude e accuratamente atteggiate com’erano, evocavano addirittura la scultura dell’antica Grecia.

Solo verso gli anni ’90, Balkenhol ha introdotto anche figure animali o ibride, per rivestire in seguito gli umani di abiti del nostro tempo e trasferirli così accanto a noi. Abiti sempre anonimi però, i loro, come anonimi e inespressivi sono i volti, e immobili le posture: «Le mie sculture non raccontano nessuna storia, spiega Balkenhol. Qualcosa di misterioso è nascosto dentro di loro e rivelarlo non è compito mio: deve scoprirlo chi le osserva».

Dal 21 settembre al 18 novembre, la galleria Monica De Cardenas, che è al suo fianco da lungo tempo, presenta una sua personale di opere recenti, in cui l’artista continua a esplorare la figura umana, talora ibridandola con ironia con elementi animali (come «Gallo nero» la figura maschile in abito scuro, mani ficcate in tasca, sul cui collo s’innesta una testa di gallo sgargiante di rossi), con l’intento dichiarato di «suscitare un senso di introspezione e contemplazione, invitando gli osservatori a interrogarsi sul proprio posto nell’intreccio in continua evoluzione dell’esistenza contemporanea».
«Gallo Nero» (2023) di Stephan Balkenhol
Introspezione, quindi, tuffo nell’interiorità, e non impegno nelle cause politiche, ambientali, di genere; nessuna lettura sociologica né antropologica del mondo, il che porta ancora una volta e deliberatamente (come già negli anni ’70) i suoi lavori fuori dal tempo attuale, in cui l’arte è intensamente coinvolta nelle cause più brucianti della contemporaneità. Indifferenza? Qualunquismo? Forse, invece, la ricerca di qualcosa di profondo e perciò di universale, che ognuno di noi possa condividere.

© Riproduzione riservata «Woman with boots and winter jacket» (2021) di Stephan Balkenhol
Altri articoli di Ada Masoero