Ava come lava!

Considerazioni sulla mostra della collezione Torlonia a Villa Caffarelli

Una veduta dell'allestimento della mostra della collezione Torlonia
Dario Del Bufalo |  | ROMA

Parte delle sculture lapidee della Collezione Torlonia, dopo molte vicissitudini di varia natura, è in mostra (con la cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri) a Roma con una rappresentanza di 92 sculture sul totale di circa 620 che la compongono. Va dato atto alla famiglia Torlonia l’impegno preso già da anni con le Amministrazioni pubbliche per restituire a Roma e al mondo una collezione straordinaria creata da personaggi straordinari tramite scavi archeologici e acquisizioni e si confida nella figura del presidente della Fondazione Torlonia, Alessandro Poma, sperando che abbia la forza e la resistenza per portare a compimento il progetto del grande Museo Torlonia per Roma.

A parte la difficoltà di raggiungere e parcheggiare nei pressi di Villa Caffarelli sul Colle Capitolino, sede della mostra, e fatto salvo che gli spazi sono slegati e poco adatti, ho notato un’intelligente organizzazione delle sezioni con, per esempio, una sala dedicata unicamente alle opere rinvenute nelle proprietà Torlonia, che non erano poche. Il sistema di illuminazione è buono e adeguato ad una esposizione di opere tridimensionali, non sempre facili da mostrare con la luce artificiale. L’allestimento purtroppo non mi trova altrettanto entusiasta, anzi penso che quei mattoni-piastrelle di gres grigio-marrone usati per i plinti di appoggio, non si vedono più neanche nei bagni pubblici della Stazione Termini. Ma il vero shock si riceve all’impatto con le sculture!

Purtroppo l’impressione che si ha entrando nella mostra è quella di entrare in una gipsoteca: le sculture (sempre troppo restaurate e integrate, anche se da grandi scultori) sembrano dei candidi gessi, bianchi come non sono neanche quelli della Gipsoteca Canova a Possagno o quelli delle varie gipsoteche d’Europa, che hanno intelligentemente conservato le leggere patine che si depositano sui modelli di gesso alabastrino dei grandi scultori del passato e che oggi valgono quasi più dei marmi originali, proprio quando conservano ancora tutti i segni del tempo, del lavoro, delle polveri e dei fumi che hanno conferito loro quel sapore di antico.

Come sono stati puliti i 92 marmi che per 92 anni sono stati segregati nelle cantine di via della Lungara? Con quali strumenti meccanici e agenti chimici sono stati sbiancati come è di moda oggi lo sbiancamento dei denti o di altre parti del corpo umano? Ricordate la mostra ospitata a Venezia nel 2008 dei marmi russi di Canova provenienti dall’Ermitage? Vi furono molte critiche perché i restauratori russi pulirono con la candeggina le loro sculture prima di inviarcele bianchissime e il confronto con i nostri marmi Canova, da sempre lasciati «in patina», era diretto e sconfortante.

Altrettanto orribile è stato visitare il Museo Archeologico di Madrid e notare che tutti i marmi romani sono stati puliti con l’acido muriatico (cfr. Bufale Archeologiche, dic. ’14)! Pulire i marmi è giusto ma eliminare tutte le patine è un delitto! Eliminare patine neoclassiche o rinascimentali è un grave errore ma non tutti lo capiscono. Abradere e rimuovere le patine archeologiche o «di scavo» è un peccato mortale, è come cancellare le prove sulla scena di un delitto!

I residui stalattitici di carbonato di calcio o le tracce millenarie di calcare lasciate dall’impronta delle radici vegetali presenti nel terreno di scavo, sono le uniche testimonianze inconfutabili di antichità che la materia lapidea possiede, al contrario delle prove scientifiche ricavate dai materiali organici con il Carbonio 14 o la prova dell’elettroluminescenza per i materiali fittili, che danno una datazione scientifica certa a questi ultimi.

Lavare i marmi dallo sporco e dal nero dello smog è un’operazione corretta e ripetibile solo se si rispettano le patine del tempo, senza «sbiancare», come spesso avviene con le candeggine o altri agenti chimici, e senza usare detersivi come quelli dello spot di Carosello anni ’60 quando a Calimero il Pulcino Nero si diceva: «Ma non sei nero, sei solo sporco…» e lui rispondeva: «Uuh Ava come lava!»

Per info o per segnalazioni: bufalearcheologiche@gmail.com

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