Appello alla libertà nel giorno della Liberazione

La Venezia della 59ma Biennale fa da sfondo a importanti iniziative a sostegno del popolo ucraino e mentre l’assenza della Russia fa rumore, c’è chi invita al disarmo

Un’immagine della mostra «This is Ukraine: Defending Freedom»
Jenny Dogliani e Giusi Diana |

Il 25 aprile 1945 è la festa della Liberazione dal nazifascismo. Fu istituita nel 1946 per ricordare e celebrare l’insurrezione dei partigiani su tutto il territorio nazionale, che contribuì alla caduta del regime e alla fine della guerra (avvenuta pochi mesi dopo, il 2 settembre). Il 25 aprile 1945 gli eserciti inglesi e americani sfondarono la linea Gotica e alcuni membri del comitato direttivo del Cln, tra cui il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, proclamarono l’insurrezione nazionale di tutti i partigiani italiani contro i tedeschi.

Con lo spettro di un conflitto mondiale alle porte dell’Europa,  le cui radici affondano negli equilibri geo politici che proprio allora iniziarono a prendere forma, questo giorno assume un significato ancora più rilevante, che è bene non dimenticare e non dare, mai, per scontato.

Il Padiglione vuoto della Russia poteva forse essere un’occasione per raccontare un’altra storia, un’altra Russia, una prova, magari, di dialogo. Ma nonostante sia rimasto sullo sfondo della 59ma Biennale di Venezia, il conflitto russo ucraino ha comunque avuto i suoi importanti e doverosi spazi nel palcoscenico lagunare.

Primo appuntamento fra tutti, l’asta di beneficenza nella Scuola Grande di San Rocco, svoltosi il 21 aprile alla presenza di Ivy Getty, la principessa Alia Al-Senussi Klaus Biesenbach, Larry Gagosian, Maja Hoffmann, Francesca Thyssen-Bornemisza, il rapper britannico Tinie Tempah e il ministro Dario Franceschini, solo per citarne alcuni.

L’asta a sostegno del popolo e della cultura ucraina, organizzata da Simon de Pury, ha raccolto 1,2 milioni di euro in totale con lotti tra cui un’opera di Louise Nevelson («Senza titolo», 1980), venduta per 60mila euro al Museo MaXXI di Roma. «La nostra collezione sarà arricchita dallo straordinario lavoro della rivoluzionaria artista statunitense di origine ucraina, uno dei suoi iconici collage entrerà nella collezione pubblica del Maxxi», ha affermato Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MaXXI.

Tra gli eventi collaterali troviamo invece «This is Ukraine: Defeding Freedom», una mostra organizzata a tempo di record da Pinchuk Art Centre e Victor Pinchuk Foundation. Sulla facciata della Scuola Grande della Misericordia la bandiera dell’Ucraina campeggia insieme alla firma del Presidente Volodymyr Zelensky, diventato in poco più di un mese un’icona mediatica, la scritta «We are defending our Freedom» si può intendere come un manifesto politico rivolto all’Europa.

Dentro sono esposte le toccanti opere di tre artisti ucraini, come «The War Diary» di Yevgenia Belorusets, composto di testi e foto che sono una testimonianza in tempo reale di ciò che sta accadendo a Kyiv, e i dipinti di Lesia Khomenko della serie «Max in the Army», dove sono ritratti alcuni soldati volontari arruolatisi in meno di un mese: un ingegnere, un artista, un avvocato e un chimico; in mostra anche opere dell’artista ucraino Nikita Kadan. Al piano di sopra le opere di noti artisti schierati contro la guerra: Damien Hirst con un’opera appositamente realizzata, Marina Abramovic, Olafur Eliasson, Takashi Murakami, JR, e l’ucraino Boris Mikhailov. La mostra è visitabile nella Scuola Grande della Misericordia fino al 7 agosto. All’inaugurazione è intervenuto anche il presidente Zelensky con un messaggio in streaming: «Sono sicuro che la mostra permetterà alle persone di sentire cosa significa per l’Ucraina difendere la libertà. Grazie per la vostra attenzione ai nostri artisti».

Anche la Galleria Continua, in un piccolo spazio di strada tra i Giardini e l’Arsenale ha organizzato una mostra e una raccolta fondi a sostegno dell’Ucraina (Castello 2145, Riva San Biagio 30122, fino al 30 giugno). Si tratta del progetto «Palianytsia» di Zhanna Kadyrova, con opere in pietra, lavori su carta e un documentario dei registi Olena Zanshko e Ganna Yeresko. L’artsta, che si trova lontano da casa, come 6,5 milioni di sfollati suoi connazionali, ha preso casa in Transcarpazia, a 30 chilometri dal confine ungherese. «Palianytsia» significa pane, nella fattispecie è una pagnotta rotonda cotta al forno. Il termine, ucraino, è pronunciato con difficoltà dagli occupanti russi, ed è per questo diventato una sorta di parola d’ordine per distinguere i cittadini dagli invasori.

Ai Giardini della Biennale, nello Spazio Esedra, il presidente Roberto Cicutto ha voluto «Piazza Ucraina», un’installazione a cura di Borys Filonenko, Lizaveta German, Maria Lanko (curatori del Padiglione Ucraina), con la collaborazione dell’Ukrainian Emergency Art Fund (UEAF) e della Victor Pinchuk Foundation, per dare voce agli artisti ucraini, autori di disegni, fotografie, fumetti o brevi testi, importanti testimonianze che dopo essere state ultimate impiegano poco tempo a diffondersi nei social media. «Lo spazio, creato dall’artista e architetta Dana Kosmina, possiede un centro e una struttura classica, Piazza Ucraina è costruita attorno a un monumento ricoperto da sacchi di sabbia, un riferimento alla pratica diffusa in tempi di guerra nelle città ucraine per proteggere l’arte pubblica dai bombardamenti», spiegano i curatori.

Sul concetto di fragilità e sul disarmo riflette infine la nuova e grande armatura realizzata completamente in vetro  di Murano, soffiato e specchiato, da Sarah Revoltella, esposta a lungo termine in cima allo scalone della Scuola Grande di San Marco. La sua è una voce tutto sommato disallineata, che mette in primo piano una questione non secondaria: affinché ogni guerra cessi, è indispensabile un’azione di disarmo.

BIENNALE DI VENEZIA

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