Anche il restauratore dev’essere tutelato

Juta, ferro, cemento, frutta, lampadine, plastica, opere effimere: l’arte del presente e del passato prossimo è un campo minato

«Rosso Plastica» (1963) di Alberto Burri © Fodazione Burri
Isabella Villafranca Soissons |

Il restauro è un’attività antica, nata per rispondere a esigenze pratiche di recupero, ripristino e conservazione delle opere d’arte. Iniziata con un approccio artigianale, si è totalmente evoluta nel tempo per diventare una disciplina basata su un saldo apparato tecnico e scientifico, normata dall’articolo 29 del Codice dei Beni culturali. Il restauro, tuttavia, non consistendo in una mera operazione manuale che richiede abilità operativa e conoscenze tecniche, presuppone uno sforzo di comprensione e di interpretazione dell’opera che determina un margine di discrezionalità non eliminabile.

Per quanto riguarda l’arte del passato, sono occorsi secoli prima che le esperienze e gli studi facessero nascere manuali e quindi teorie; generazioni di restauratori sono stati indirizzati da quelle elaborate da Cesare Brandi, a partire dagli anni Quaranta, e confluite nel 1963 nella pubblicazione del volume Teoria del restauro: per Brandi il restauro è il «momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro».

Se esistono teorie e protocolli ben definiti per la conservazione dell’arte antica, non si può dire altrettanto per quanto riguarda quella contemporanea che è contraddistinta dalla pluralità è vastità di forme espressive e manifestazioni, con utilizzo di innumerevoli tecniche e materiali di natura del tutto eterogenea.

Ogni intervento è un unicum
Gli artisti contemporanei non sono più interessati, come avveniva in passato, a scegliere per le loro opere materie durevoli nel tempo; si focalizzano, invece, sul «concetto» che vogliono trasmettere e per questo utilizzano un’ampia varietà di elementi non tradizionali reperiti al di fuori dell’ambito artistico, assemblandoli a volte in modo molto ardito. Vengono utilizzati con disinvoltura come mezzo espressivo materiali quali: brandelli di manifesti, legni combusti, ferro, cemento, sacchi di juta, specchi, lampadine, pelli animali, sangue, sacchetti per la spazzatura, foglie, frutta…

La plastica, che rappresenta la contemporaneità, è un altro materiale largamente usato; ogni tipo di plastica è estremamente diverso, spesso vengono aggiunti additivi e quindi anche il processo di deterioramento chimico varia in funzione degli elementi che la compongono.

Ogni intervento è un unicum e quindi risulta impossibile limitare con schemi teorici e metodologici sistematici una realtà così articolata e dinamica.
L’arte contemporanea è sostanzialmente concepita per essere fruita nella sua immediatezza e pertanto la deperibilità della materia è sovente sottovalutata se non addirittura ricercata.

Oltre alla novità costituita dall’utilizzo di materiali non convenzionali, la produzione di arte contemporanea inserisce un nuovo elemento, sconosciuto nel passato: l’intenzionalità dell’artista in relazione alla fruizione e deperibilità dell’opera che può anche essere finalizzata alla transitorietà e all’implosione (opere effimere). Con questi presupposti, quindi, decadono i concetti brandiani di unicità, consistenza fisica, trasmissione al futuro.

Inoltre, quando l’intenzionalità dell’autore porta a scegliere materiali e tecniche labili e non permanenti, si manifesta un evidente contrasto con la vocazione delle istituzioni museali che è volta alla conservazione; un contrasto che appare evidente anche rispetto alle logiche economiche del mercato dell’arte che tendono ad attribuire valore alla materialità dell’opera in quanto investimento di lungo termine.

Qualora il conservatore operi con la produzione di artisti che non hanno scelto i linguaggi propri dell’arte classica, allora deve porsi molteplici quesiti: in che modo ed entro quali limiti sia lecito bloccare il degrado dei materiali, se e come sia consentito sostituire parti rotte o elementi mancanti, come garantire la giusta spazialità a un’installazione nata in un altro luogo, come circoscrivere l’intervento di un artista vivente nel restauro di un suo lavoro.

Risulta evidente che le problematiche inerenti al restauro dell’arte contemporanea non siano solo di natura tecnica e scientifica, ma anche teorica e metodologica; quindi, in assenza di schemi teorici stabiliti, il progetto di intervento deve essere concordato e prevedere il coinvolgimento di artisti, eredi, archivi, fondazioni, direttori di musei, conservatori.

Questo modus operandi può evitare che sorgano contenziosi tra gli attori coinvolti nel processo. Si sono verificati casi, anche in ambito museale, nei quali l’artista ha disconosciuto un suo lavoro, non ritenendolo adeguatamente conservato o ben restaurato; questa azione ha determinato così una perdita totale del valore artistico e conseguentemente economico dell’opera.

I diritti dell’autore e del proprietario
L’azione di tutela dell’integrità dell’opera, da cui può derivare disconoscimento della stessa, è sancita dall’art. 20 della normativa italiana sul Diritto d’autore (L. 633/1941), che ricalca l’art. 6bis della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche: «Indipendentemente dai diritti patrimoniali d’autore, e anche dopo la cessione di detti diritti, l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a ogni deformazione, mutilazione o altra modificazione, come anche a ogni altro atto a danno dell’opera stessa, che rechi pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione», e nell’ambito del pregiudizio citato nell’articolo può essere compreso qualsiasi intervento di restauro.

Alla luce di queste considerazioni si pone il problema di conciliare e tutelare allo stesso tempo interessi spesso in antitesi: il diritto morale d’autore e il diritto materiale dell’acquirente/proprietario. Tuttavia, occorre anche tutelare l’intervento del restauratore, il quale deve esser messo nella condizione di conoscere ex ante eventuali istanze e problematiche dell’opera sulla quale deve intervenire.

Accade talvolta che lo stesso conservatore venga coinvolto in dispute di natura legale tra artisti e collezionisti che si rivelano spesso ancor più complesse a causa dei differenti ordinamenti giuridici dei diversi Paesi. È quindi auspicabile, a tutela sia del restauratore sia dell’acquirente pubblico, ma anche privato, una maggior diffusione del protocollo di autenticità dell’opera (PACTA) che contiene anche linee guida per la conservazione (o meno) e il restauro.

In conclusione, le problematiche nell’ambito dall’arte contemporanea non coinvolgono esclusivamente i conservatori/restauratori che hanno dovuto adeguare il proprio approccio e le metodologie di intervento ma, oltre agli artisti e i collezionisti, anche i giuristi che stanno incontrando non poche difficoltà a definire principi normativi da applicare in una realtà così articolata e complessa.

Isabella Villafranca Soissons è direttore del Dipartimento Conservazione e Restauro di Open Care S.p.A., Milano L’articolo è stato originariamente pubblicato nell’allegato «RA Tax & Legal 2021-2022»



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