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Anatomia di un mito

Anna Costantini

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Si può raccontare la fortuna critica e visiva di Piero della Francesca in un unico itinerario che, dal Quattrocento, arriva a Edward Hopper e Balthus? Ci prova la mostra allestita ai Musei San Domenico dal 13 febbraio al 26 giugno, grazie alla Fondazione Cassa dei Risparmi, in collaborazione con il Comune di Forlì. 

Organizzata da Gianfranco Brunelli, «Piero della Francesca. Indagine su un mito» è affidata a un comitato scientifico internazionale coordinato da Antonio Paolucci che include specialisti di Rinascimento quali Frank Dabell, Neville Rowley dello Staatliche Museum di Berlino e Giovanni Villa, studiosi di arte a cavallo tra Otto e Novecento come Fernando Mazzocca e Guy Cogeval del Musée d’Orsay di Parigi, e Daniele Benati e Maria Cristina Bandera della Fondazione Roberto Longhi.

L’esposizione racconta, attraverso circa 200 opere, la determinante importanza di Piero per alcuni artisti coevi (da Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello ad Andrea del Castagno) e la generazione subito successiva (Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Luca Signorelli, Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano, Giovanni Bellini e Antonello da Messina) e poi, con molti secoli in mezzo in cui ci si è ricordati di lui soprattutto come autore di trattati teorici sulla prospettiva, la geometria dei solidi e l’aritmetica, la sua riscoperta a fine Ottocento.

Il focus della mostra è in realtà su questo, quel «Piero ritrovato» di cui scrive Mazzocca in catalogo, raccontando di una riscoperta che, in Italia, parte dal saggio di Bernard Berenson The Central Italian Painters of the Renaissance (del 1897 ma tradotto in italiano nel 1936), passa attraverso la Storia dell’arte italiana di Adolfo Venturi del 1911 e il primo saggio di Longhi del 1914 e approda al fondamentale volume dello stesso Longhi pubblicato nel 1927 per le edizioni di «Valori Plastici».

Una riscoperta però nata anche e soprattutto grazie agli artisti: Cézanne e Seurat su tutti, affascinati da quella che Longhi definì la «sintesi tra la forma e il colore per via di prospettiva» di Piero. Alla base, una conoscenza arrivata prima in Germania e poi in Francia anche grazie al lavoro di copia dal vero di pittori accademici come Johann Anton Ramboux e Charles Loyeux, mentre in Italia furono le campagne di restauro dedicate alle grandi opere del Quattrocento toscano ad avere un ruolo determinante per i Macchiaioli, in particolare per Odoardo Borrani, Silvestro Lega e Giovanni Fattori.

Il racconto continua con gli stretti legami di Edgar Degas e Pierre Puvis de Chavannes con l’Italia, per approdare poi al «Piero consacrato» del Novecento di Felice Casorati, Giorgio Morandi, Virgilio Guidi, Massimo Campigli, Antonio Donghi e Pietro Gaudenzi. Infine, nuovo salto temporale fino a Balthus e Hopper. Non mancano i riferimenti al rapporto con l’architettura, all’Inghilterra vittoriana e su questa scia, come dimostra il saggio in catalogo di Luciano Cheles, anche ad alcuni artisti della cosiddetta American Renaissance, cultori del nostro Rinascimento. Il numero delle opere trasportabili di Piero è, com’è noto, molto esiguo, cui si aggiunge l’apprensione per le condizioni di conservazione delle stesse.

L’iniziativa di Forlì si può considerare un punto di partenza che porta, in pochi chilometri, a vedere o a rivedere i grandi cicli di affreschi di Piero e le sue tavole nei luoghi di sempre: Rimini, Urbino, Sansepolcro, Monterchi, Arezzo, fino a Perugia. Al Museo Civico di Sansepolcro, in particolare, dal 19 marzo al 17 luglio sarà possibile visitare la mostra collaterale «Indagini sulla “Resurrezione”», un approfondimento sul lavoro di restauro del celebre affresco di Piero che il Comune, in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e la Soprintendenza alle Belle Arti e il Paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo coordinata da Paola Refice, sta realizzando e di cui saranno messi a disposizione del pubblico i dati più rilevanti.

Anche la «Resurrezione» sarà comparata a opere comprese tra il XV e il XX secolo, perché la «certezza spaziale» di Piero della Francesca che Longhi aveva così chiaramente individuato, è la vera centralità senza tempo della sua opera.

Anna Costantini, 08 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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