Allo Spazio C.AR.M.E. tutti i cinesi d’oggi

Quaranta opere di arte contemporanea cinese della collezione di Uli Sigg esposte per la prima volta in Italia. A commento un libro con cinque testi brevi

«F-X069Y006» (2014), di Gu Changwei. Foto: David Oester
Ada Masoero |  | Brescia

L’ex Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, restaurata e trasformata nello Spazio C.AR.M.E-Centro Arti Multiculturali e Etnosociali, insieme a Bellearti, associazione fondata nel 2019 sotto la guida di Massimo Minini, presenta dal primo giugno al 3 settembre, nella mostra «China Now», una selezione di circa 40 opere (tra dipinti, fotografie, sculture e video) di arte contemporanea cinese, esposte per la prima volta in Italia.

Tutte fanno parte della collezione di Uli Sigg (Lucerna, 1946; primo imprenditore occidentale a operare in Cina, da vicepresidente della Schindler Elevator Co., subito dopo l’Open Door Policy del 1979 e, negli anni ’90, ambasciatore svizzero in Cina, Corea del Nord e Mongolia): una fra le collezioni più importanti al mondo, con le sue 3mila opere d’arte contemporanea cinese, ma non solo.

Sin dal suo arrivo in Cina, Sigg è stato ben consapevole che, dopo tanto isolamento, una via maestra per conoscere da vicino la nuova cultura cinese e per aprire una via di connessione con l’Occidente fosse offerta dagli artisti che là lavoravano, finalmente liberi di fare arte come volevano, senza il controllo dello Stato.

Uli Sigg li andava a visitare nei loro studi, mentre in Cina nasceva un primo sistema dell’arte, e con la sua raccolta documentava in presa diretta il formarsi dell’arte contemporanea cinese. «Un collezionista reporter», l’aveva definito Carolyn Christov-Bakargiev su queste colonne (nel 2020, al tempo della grande mostra al Castello di Rivoli, subito chiusa per il lockdown), in un’intervista in cui il collezionista dichiarava di aver voluto «assemblare una collezione nello stesso modo in cui l’avrebbe fatto un’istituzione nazionale»: tanto che nel 2012 ne donò una parte al Museo M+ di Hong Kong.

A Brescia sono esposte opere di Ai Weiwei, Gu Changwei, He Xiangyu, Jin Shan, Li Jinghu, Liu Wei, Tsang Kin-Wah, Shao Fan, Tian Wei, Ke Ma, del collettivo MadeIn Company e dell’italiano Gabriele Di Matteo, che nel suo ciclo «China Made in Italy» (2009) «piratava» le più famose opere di arte cinese dei primi anni Duemila.

Come ci spiega Massimo Minini, «Questa mostra è stata curata da Uli Sigg con C.ar.m.e e Bellearti. Abbiamo pensato di esporne una parte minima ma capace di rappresentare le diverse correnti di pensiero dell’arte contemporanea cinese, in tutte le sue declinazioni. A commento c’è un libro con cinque testi volutamente brevi: ormai più nessuno legge un lungo saggio».

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