Alla Quadriennale 43 artisti «fuori»

Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol spiegano le loro scelte per la rassegna romana

Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol. © Alessandro Cantarini
Guglielmo Gigliotti |  | ROMA

Dal 30 ottobre al 17 gennaio per la Quadriennale 2020, sale monografiche di 43 artisti italiani saranno distribuite in tutti gli ambienti di Palazzo delle Esposizioni. Promossa dalla Fondazione La Quadriennale di Roma, presieduta da Umberto Croppi, e dall’Azienda speciale Palaexpo, la rassegna si avvale di 1,8 milioni di euro giunti, per gran parte, da Mibact, Regione Lazio e Comune di Roma, oltre a partner minori.

Gli artisti invitati sono: Alessandro Agudio, Micol Assaël, Irma Blank, Monica Bonvicini, Benni Bosetto, Sylvano Bussotti, Chiara Camoni, Lisetta Carmi, Guglielmo Castelli, Giuseppe Chiari, Isabella Costabile, Giulia Crispiani, Cuoghi Corsello, Daar - Alessandro Petti - Sandi Hilal, Tomaso De Luca, Caterina De Nicola, Bruna Esposito, Simone Forti, Anna Franceschini, Giuseppe Gabellone, Francesco Gennari, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Diego Gualandris, Petrit Halilaj and Alvaro Urbano, Norma Jeane, Luisa Lambri, Lorenza Longhi, Diego Marcon, Raffaela Naldi Rossano, Valerio Nicolai, Alessandro Pessoli, Amedeo Polazzo, Cloti Ricciardi, Michele Rizzo, Cinzia Ruggeri, Salvo, Lydia Silvestri, Romeo Castellucci-Socìetas, Davide Stucchi, Tomboys don’t cry, Maurizio Vetrugno, Nanda Vigo, Zapruder.

Parliamo della mostra con i curatori Sara Cosulich e Stefano Collicelli Cagol.

Il lockdown ha messo a repentaglio la Quadriennale. Come avete superato questa prova?

Avevamo per fortuna portato avanti il lavoro nei due anni precedenti, così all’inizio del lockdown avevamo già completato la maggior parte dei nostri viaggi e incontri con gli artisti e una gran parte del dialogo per la scelta delle opere. Ci siamo comunque trovati chiusi nelle nostre case a gestire via Zoom, Teams e Skype l’intera organizzazione di una mostra così grande e complessa, le nuove produzioni, tantissime questioni cruciali che richiedevano costanti confronti con centinaia di interlocutori. L’essere tutti separati ha reso il lavoro davvero complicato e pieno di ostacoli, ma grazie alla collaborazione con un team di lavoro appassionato e instancabile, siamo riusciti a farcela. Anche per gli artisti non è stato facile, alcuni per esempio avevano difficoltà a raggiungere i loro studi per completare il lavoro e in alcuni casi abbiamo dovuto rivedere i progetti scelti.

Pensare in grande quando tutto è in crisi, si può?

Abbiamo perseguito il nostro obiettivo non «in grande» ma in modo rigoroso, convinti nella nuova lettura dell’arte italiana che desideriamo dare e della sua urgenza. Crediamo in una mostra coerente e precisa, spettacolare e coinvolgente per i diversi tipi di pubblici. Alcuni progetti sono stati ovviamente modificati data la situazione ma, anche senza tematizzare il momento che stiamo vivendo, i lavori si sono spesso formati in risposta a esso, oppure verranno riletti attraverso una prospettiva nuova.

Avete selezionato 43 artisti: quali sono stati i metodi e i criteri che hanno accompagnato le scelte?

Ripensare e allargare le maglie attraverso cui l’arte italiana può essere presentata. Dare spazio ai giovani, superare le divisioni di genere, sesso, medium, presentare i lavori di artiste pioniere e mid-career che ancora non avevano mai partecipato a una Quadriennale, sottolineare linee di ricerca transgenerazionali e transdisciplinari, incrociare arte, potere, desideri erotici e incommensurabilità di visioni, per mostrare la vitalità e l’energia degli artisti.

Avete detto che la mostra della Quadriennale, titolata «Fuori», «vuole essere un invito a uscire dagli schemi, ad assumere una posizione eccentrica». Sono, in fondo, le parole d’ordine delle avanguardie: non rischia di diventare anche questo uno schema?

Più che «fuori», le avanguardie erano «contro», come il termine militaresco suggerisce. Ci piace comunque pensare che questa mostra allarghi le maglie e crei percorsi alternativi anche in dialogo con i ragionamenti, le pratiche e le forme che l’hanno preceduta. Come nell’improvvisazione, dove si risponde agli stimoli di una partitura o di uno «score», essere fuori richiede una costante attenzione a non ricadere nel dentro di uno schema.

Ma se tutti assumono posizioni eccentriche, il centro dov’è?

Il centro è sempre lì, nel pensiero eterosessuale ben descritto da Monique Wittig e nella posizione fallologocentrica della cultura occidentale. Dritta, eretta, centrata, come Adriana Cavarero la descrive nel suo libro Inclinazioni, che chiarisce ogni dubbio su dove sia il centro.

Avete anche detto che con il termine «fuori» intendete «fuori di testa, fuori moda, fuori tempo, fuori scala, fuori gioco, fuori tutto, fuori luogo», cioè quel che la Quadriennale non è, ma, in termini positivi, che cosa è la Quadriennale 2020?

Il FUORI è positivo. Il nuovo nasce dal FUORI, da un confronto con l’incommensurabile.

Su 43 artisti invitati, solo 4 sono meridionali: il sistema dell’arte nelle regioni del Sud non ha la forza di quello del Nord?

La scarsità di centri dell’arte in queste regioni è un tema, pur essendoci iniziative eccellenti con cui ci siamo interfacciati. Con i nostri workshop di Q-Rated abbiamo avuto l’occasione di incontrare artisti di tutto il paese e di lavorare tra Nord e Sud senza un senso di confine. La mostra finale fa i conti con un’identità italiana che non si ferma dentro specifici limiti, con artisti che vivono all’estero, stranieri che vivono in Italia: la geografia artistica va considerata sempre di più su una scala globale e la forza che una mostra può dare agli artisti che vi partecipano è soprattutto la coerenza del suo intento che segue una selezione non matematica.

Nella mappatura dell’arte italiana illustrata dalla Quadriennale, quale funzione svolgono i 9 artisti storicizzati, tra cui Giuseppe Chiari, Nanda Vigo, Salvo, Cloti Ricciardi, il compositore Sylvano Bussotti e la danzatrice Simone Forti?

Anticipatori, rivoluzionari, innovatori nelle forme, hanno saputo leggere il proprio tempo e creare opere le cui letture si aprono all’oggi e si relazionano in modo sempre più rilevante. È fondamentale rendere giustizia e visibilità alla visionarietà della loro ricerca e sparigliare le definizioni in un’epoca che richiede di uscire dalle definizioni.

Come definireste la vostra esperienza, anche personale, nella realizzazione di questa impresa?

Siamo entrambi del segno del Toro, e questo dice tutto. Passionali, tenaci e testardi, abbiamo messo la nostra vita e tutte le nostre energie in questo progetto, consapevoli di avere un mandato anche civico, oltre a un’enorme responsabilità nei confronti degli artisti e del pubblico. Abbiamo lottato e faticato, scoperto e conosciuto, ci siamo messi in gioco e ci siamo divertiti: ora speriamo che i visitatori della mostra possano provare lo stesso.

© Riproduzione riservata «Stivali d’Italia» di Cinzia Ruggeri
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