Alla Biennale di Gwangju l’acqua assume un ruolo centrale e politico

Allestita in cinque sedi principali, presenta le opere di 79 artisti, metà delle quali nuove commissioni e produzioni

Uno still dal film «The Spirit Level» (2023) di Taiki Sakpisit. Cortesia dell’artista. Commissionato dalla 14ma Biennale di Gwangju. Col sostegno della Yanghyun Foundation e Sac Gall.
Federico Florian |  | Gwangju

La 14ma edizione della Biennale coreana (dal 7 aprile al 9 luglio) si ispira al potere curativo e lenitivo dell’acqua. «Soft and weak like water», titolo della rassegna, eleva l’acqua a «modello di potere in grado di apportare il cambiamento» e superare, grazie alla sua adattabilità, differenze e divisioni. «L’arte, continua la curatrice Sook-Kyung Lee, ha la capacità di permeare a fondo la sfera individuale e collettiva, consentendoci di navigare le complessità del mondo con consapevolezza e il giusto senso dell’orientamento».

Così come l’acqua, anche l’arte è in grado di curare: una dichiarazione che riveste un significato particolare per la città di Gwangju, vittima del terribile massacro del 1980, e la cui biennale (la più antica del continente asiatico) fu fondata nel 1995 quasi come sorta di memoriale per le vittime della rivolta del movimento di democratizzazione, violentemente repressa.

Allestita in cinque sedi principali in città (Gwangju Biennale Exhibition Hall, Museo nazionale, Horanggasy Artpolygon, Mugaksa e Artspace House), questa rassegna fluida presenta le opere di 79 artisti, metà delle quali nuove commissioni e produzioni. Tra queste, quella dell’artista e compositore libanese Tarek Atoui, noto per le sue installazioni audio e registrazioni condotte in prossimità di mare e acqua, per documentare le realtà ecologiche e storico-sociali delle città costiere.

Qui a Gwangju, Atoui ha collaborato con artigiani e musicisti coreani per sviluppare un insieme di strumenti e oggetti sonori attivati nel corso di vari workshop. L’acqua assume un ruolo centrale e politico nel lavoro del filmmaker di Bangkok Taiki Sakpisit: nel suo nuovo film, documenta le vite, i sogni e i ricordi delle comunità di contadini e pescatori lungo il fiume Mekong.

Presso lo spazio comunitario di Horanggasy Artpolygon, collocato ai piedi di una montagna sacra, Vivian Suter presenta alcune delle sue caratteristiche tele stelaiate, in cui reinterpreta il paesaggio dell’Amazzonia; opere di natura meditativa sui cicli della natura e della vita (firmate da Dayanita Singh, Liu Jinhua e Huong Dodinh) occupano la suggestiva cornice del tempio buddista di Mugaksa. Da non perdere anche la nuova installazione dell’americana Candice Lin, composta da sculture di ceramica ispirate alla tradizione coreana buncheong e presentate in dialogo con la collezione di ceramiche del Museo nazionale.

Nel weekend di apertura della mostra (7 e 8 aprile), si terrà un simposio organizzato dalla biennale e dallo Hyundai Tate Research Centre: artisti, accademici e curatori si riuniscono qui per discutere le pratiche dei protagonisti della rassegna, nel tentativo di approfondire le loro fluide e originali visioni.

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