Alla Berlinische Galerie le piante sono insegnate dai fotografi
Sei autori nati tra il 1965 e il 1983 (Haberkorn, Krauss, Kriemann, Ng’ok, Seufert e Steinbach) ci inducono a ripensare il rapporto che abbiamo con il mondo vegetale

Madre Natura è da sempre, nelle sue molteplici forme e manifestazioni, dall’origine dei tempi e dell’arte, dalle prime pitture rupestri agli ologrammi e alle recentissime discusse riproduzioni dell’intelligenza artificiale, soggetto prediletto di artisti naturalisti e paesaggisti, pittori, scultori e fotografi. Negli ultimi anni molte mostre in Germania sono state dedicate all’argomento con un focus speciale sull’arte romantica nazionale e le sue gemmazioni internazionali post ottocentesche.
Anche la più giovane delle succitate discipline, la fotografia, non è stata certo da meno, dedicandosi da subito, dai primi esperimenti dei dagherrotipisti francesi in poi, alle sue riproduzioni «tout court», integrandone via via il tema puro, nell’età delle macchine e del progresso, con le dinamiche del mondo antropizzato e, soprattutto nell’ultimo cinquantennio, concentrandosi sulle criticità da queste generate ai danni del nostro fragile pianeta.
Nell’era del cambiamento climatico, delle galoppanti implosioni degli ecosistemi complessi in cui viviamo e a cui impotenti sempre più spesso assistiamo, l’arte si è spesso messa al servizio di chi milita contro i negazionisti del «climate change». La mostra che la Berlinische Galerie allestisce dal 13 ottobre al 22 gennaio 2024, «Green Stuff. Le piante nella fotografia contemporanea», si mette al servizio di un pubblico che si spera sempre più sensibile alla gravità del problema. Su che binari si muove oggi il rapporto essere umano-natura/piante? Presentando opere provenienti principalmente dalla sua collezione di fotografia, il museo berlinese riprende un tema classico tra i classici dell’arte moderna e contemporanea, invitando sei fotografe e fotografi, giovani artiste e artisti di fama internazionale a darne le proprie interpretazioni e letture.
Falk Haberkorn (Berlino, 1974), Ingar Krauss (Berlino, 1965), Susanne Kriemann (Erlangen, 1972), Mimi Cherono Ng‘ok (Nairobi, 1983), Stefanie Seufert (Göttingen, 1969) e Andrzej Steinbach (Czarnkow, 1983-per Folkwang-Auriga Verlag) non si concentrano sulla natura selvaggia e indomita del mondo vegetale, ma sulla sua manipolazione o, come suggerisce il titolo della mostra, «Überformung/Overforming», sulla sovraformazione, rimodellamento da parte dell’uomo. Vediamo quindi rappresentati in ritratti prevalentemente in bianco e nero e dettagli carichi di pathos i legni morti accatastati nella Foresta nera, le mangrovie indonesiane inquinate da rifiuti di plastica e le culture botaniche dei tropici in crisi. La loro contemplazione può essere calmante, stimolante o scatenare forti sentimenti di ansia e paura; le rappresentazioni aprono spazi di possibilità per ripensare il costantemente mutevole rapporto tra l’uomo e le piante.