Al Quai Branly l’album del mondo

I 300 scatti d’epoca tracciano una storia delle origini della fotografia al di fuori dei confini europei

«Ritratto di un maragià della famiglia reale. Dinastia Holkar, Stato di Indore 1910-20», di Joseph Razafy. © Musée du Quai Branly-Jacques Chirac. Foto Pauline Guyon
Luana De Micco |  | Parigi

Dal 4 aprile al 2 luglio il Quai Branly, museo delle arti e civiltà d’Africa, Asia, Oceania e Americhe, racconta una storia delle origini della fotografia al di fuori dei confini europei. Per la mostra «Aprire l’album del mondo. Fotografie (1842-1911)», che allestisce circa 300 scatti d’epoca, il museo ha attinto soprattutto al suo vasto fondo fotografico «transgeografico» e si è avvalso di prestiti di istituzioni francesi come il Musée Guimet di Parigi.

Sono allestite le foto che l’archeologo Désiré Charnay realizzò durante la spedizione in Messico del 1857 sui siti delle antiche civiltà precolombiane; le immagini di Auguste Bartholdi, lo scultore della Statua della Libertà che viaggiò tra Egitto e Sudan per immortalarne i monumenti, e quelle che l’avventuriero marsigliese Jules Borrelli realizzò tra il 1885 e il 1886 durante una missione d’esplorazione in Etiopia, dove incontrò Arthur Rimbaud, il poeta diventato trafficante d’armi.

Sin dai primi dagherrotipi, il nuovo medium si diffuse in tutto il mondo come strumento di documentazione nelle missioni sia scientifiche sia militari. Sin dal 1860, in India, Colombia, Giappone, nacquero i primi studi fotografici, come lo Studio Razafy, fondato in Madagascar da Joseph Razafy (1881-1949), di cui sono esposti alcuni ritratti.

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