Al Museo Marini le testimonianze di Martínez Celaya
Nei suoi soggetti apparentemente semplici l’artista cubano introduce elementi stranianti, a suggerire le opacità che si nascondono sotto la superficie delle cose

«Guardare e aspettare», aperta fino al 29 maggio, è la prima personale in Italia di Enrique Martínez Celaya, nato a Cuba ma residente a Los Angeles, artista, autore, editore (la Whale & Star è riconosciuta a livello internazionale per libri di arte, poesia, pratica artistica e teoria critica), ex fisico. Come spiega il curatore Giorgio Verzotti, il titolo della mostra negli spazi della cripta del museo che ospita la collezione permanente di Marini ben corrisponde alla disposizione con la quale Martínez Celaya dà vita alle sue creazioni, in modo tale che «l’osservazione si prenda tutto il tempo necessario perché l’opera possa alla fine rendersi esplicita, da ermetica che è, e la narrazione svolgersi, sia pure per passaggi enigmatici».
Martínez Celaya, che si esprime tramite scultura (come nelle opere selezionate dal 2005 al 2023 per questa occasione), pittura, fotografia, video e scrittura, introduce nell’apparente semplicità dei soggetti scelti, alberi, fiori, fiumi, cieli, mare, animali e figure umane, elementi stranianti, a suggerire quanto di opaco si celi sotto la superficie delle cose.
Le sculture esposte in bronzo, cemento, cera o legno, materiali spesso mescolati tra loro (ad esempio la figura in legno bruciato con la pelliccia d’orso, o il ragazzo in bronzo dipinto di bianco ma coi calzoni di tela), creano un percorso straniante e talvolta inquietante e comunicano lo stesso senso di instabilità che emana dalle opere pittoriche: di quest’ultime in mostra ne troviamo solo due, ma altre sono esposte alla personale dell’artista che si tiene alla Secci Gallery dal 5 maggio al 29 luglio.
Fantasmi di un racconto intimo, le creazioni di Martínez Celaya ben traducono il senso di precarietà che segna le nostre esistenze, cui rimanda la frase di Eliot inscritta sul corpo in fiberglass bianco del cervo appeso dentro una struttura metallica. E ogni opera si trova ad essere, spiega Verzotti, «il testimone di un evento, trascorso oppure ancora in atto, che l’osservatore è chiamato a interpretare, superando l’impressione di estraneità e di resistenza che l’opera stessa sembra a prima vista opporre».