Al Muse il soffio dell’Anima mundi
Cinque artisti e nove giostre per una mostra unica nel suo genere




L’elettrone ruota su se stesso e intorno al nucleo, la Terra ruota su se stessa e intorno al sole, il sole ruota su se stesso e intorno al centro della via Lattea. Qualche cosmologo ipotizza che persino l’universo ruoti su se stesso. Il momento angolare, quantità di rotazione di un corpo, è una delle leggi più importanti e ricorrenti di questo incredibile e misterioso universo dal quale siamo avvolti ed è la costante che conferisce ai corpi celesti quell’unica medesima forma, tendente alla sfera perfetta. Così la scienza. Per l’arte, invece, è l’anima del mondo, quella cui guarda la mostra «Anima Mundi. La Giostra della vita», organizzata dal MUSE - Museo delle Scienze di Trento a Palazzo delle Albere fino al 29 ottobre. Hanno molto in comune l’arte e la scienza. Entrambe nascono dalle medesime intuizioni, entrambe sperimentano i medesimi misteri.
«Tutto è in perenne rotazione. Tutto finisce, tutto ricomincia. Le differenze sviluppano energia nel caleidoscopio che ruota senza sosta mosso dall’anima del mondo», spiegano gli organizzatori della mostra ideata da Stefano Zecchi e curata da Beatrice Mosca. Una mostra viva, dinamica e innovativa, dove l’arte ruota letteralmente su delle giostre che generano creatività, un’energia che prende forma in numerose opere ciascuna delle quali dà voce, di volta in volta, agli infiniti misteri del mondo.
Un allestimento unico e innovativo declinato in nove giostre che girano ininterrottamente mostrando i lavori di cinque artiste e artisti interazionali: Sebastian Brajkovic, Marta Klonowska, Marcello Pietrantoni, Sergio Boldrin e Koen Vanmechelen. Quest’ultimo, artista belga attivo dagli anni Novanta sul concetto della biodiversità, apre e chiude il percorso con i suoi due caroselli. «Carousel of life» è una romantica e classica giostra a carosello che ci attira in una spirale onirica popolata di ambigue creature, artigli e grandi uova dorate, serpenti e leoni, tomi enciclopedici e occhi minacciosi, ibridi demoni ed eteree creature simili a giovanissimi Buddha. Un mondo ancestrale in netto contrasto con il suo «Carousel of Biodiversity», moderna e futuristica versione a tre piani, a metà fra una giostra da luna park e un allevamento intensivo. In alto campeggia la scritta al neon «Cosmpolitan chicken project», sulle pareti della sala, invece, «The global only exists by the generosity of the local». Sui ripiani rotanti una sfilata di variopinti polli tassidermizzati. Sono lì, dopo chissà quante rotazioni della Terra, giorni, anni, secoli, millenni, eco di un’evoluzione che ha condotto dai loro gloriosi e ancestrali antenati piumati ai polli domestici, e noi con loro. Ma sono lì a riprendere il controllo, a fare bella mostra di se stessi, alti, fieri, impettiti, diversi l’uno dall’altro: «Questa installazione celebra la diversità e la creatività della vita, ci ricorda che la vita è in continua evoluzione e che possiamo ottenere cose straordinarie quando ci riuniamo per celebrare le nostre differenze», afferma l’artista.
Nella sala successiva un cerchio luminoso e un moderno candeliere in vetro con lumi elettrici pendono dal soffitto, sotto di essi è in funzione un disco nero rotante con un cumulo di frammenti di cristalli. È l’opera di Sebastian Brajkovic. Il confine tra forma e informe è una questione di tempo, spazio ed energia: tutto ciò che vediamo davanti ai nostri occhi non è che uno stato transitorio della materia. Come l’arte, è una manifestazione dell’energia che la attraversa, aggregando o disgregando: barocco il lampadario, astratto il cumulo di frammenti vitrei.
Marta Klonowska ci trasporta invece in una dimensione fiabesca, con i suoi variopinti e graziosi animali «liberi» in un habitat sconosciuto. «I miei animali di vetro aprono una nuova realtà, diversa dalla nostra. Si esibiscono in una sorta di palcoscenico teatrale. Questo scontro di realtà dovrebbe farci riflettere sulle incertezze della vita», spiega. Il suo grande scoiattolo rosso è una creatura laboriosa e previdente, che vive in equilibrio tra due mondi, il cielo, che domina dall’alto degli alberi, e la terra, dove diventa preda vulnerabile.
Lugubri ombre e antiche maschere veneziane da medici della peste popolano invece le giostre di Sergio Boldrin. Qui il ciclo a cui si fa riferimento è l’eterno rincorrersi del giorno e della notte, della vita e della morte, della salute della malattia, della fioritura e del decadimento. Il maestro mascheraio che vanta collaborazioni tra cui «Eyes Wide Shut» di Stanley Kubrick, utilizza le maschere per alludere al lato oscuro, nel suo caso il buio che alberga in ognuno di noi, l’io più recondito e ingovernabile, sconosciuto il più delle volte persino a noi stessi.
Visitare questa particolarissima mostra ci fa comprendere come l’arte sia, in fondo, una caleidoscopica giostra che gira ininterrottamente, su cui l’artista si siede come davanti al tornio di un vasaio. La mano plasma l’argilla, a ogni rotazione imprime una forma: diversa, bellissima, terrificante, romantica, spaventosa, luminosa, buia, sublime, inquietante. È un ciclo infinito, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. L’arte non dura in eterno, ma è fatta della medesima sostanza dell’eternità.
La mostra è frutto della collaborazione con Berengo Studio | Fondazione Berengo e De Ponte Studio Architects.