Al Musée Fragonard le sorelle Lemoine e la cugina Gabiou

A Grasse la prima mostra dedicata a cinque pittrici pressoché sconosciute, le cui opere sono state in qualche caso attribuite a Girodet e a David

«Ritratto di una signora in vesti di novizia» (1811, Salon del 1812), di Jeanne-Élisabeth Gabiou (particolare) «Giovane ragazza che tiene la spada del padre» (Salon del 1817), di Jeanne-Élisabeth Gabiou (particolare)
Arabella Cifani |  | Grasse

Nell’ottica di un’indagine storica innovatrice sulle donne pittrici, Carole Blumenfeld, esperta di figure di artiste fra Sette e Ottocento e autrice di una monografia su Marguerite Gérard, per la quale ha ricevuto il Mellor Prize del National Museum of Women in the Arts, ha curato una mostra che riconquista alla storia dell’arte cinque artiste di cui fino ad oggi si conosceva poco o nulla. Intitolata «Dichiaro di vivere della mia arte» e allestita nel Musée Fragonard dal 10 giugno all’8 ottobre, è dedicata alla singolare storia di cinque pittrici: le sorelle Marie-Victoire (1754-1820), Marie-Élisabeth (1765 ca-1811), Marie-Geneviève, Marie-Denise (1774-1821), tutte Lemoine, e la loro cugina Jeanne-Élisabeth Gabiou (1767-1832).

Cinque donne unite dalla stessa passione per la pittura e da uno stile di vita inusitato per i tempi: costituirono infatti una sorta di famiglia allargata, con legami tenacissimi fra i vari membri che solo la morte disperse. Dal saggio di Blumenfeld per il catalogo emerge un affresco molto vivo della vita delle pittrici nella Francia fra la fine dell’Ancien Régime, la Rivoluzione, l’epoca napoleonica e il ritorno dei Borbone. La prima ad avviarsi all’arte fu Marie-Victoire, che fu anche allieva della coetanea Élisabeth Vigée-Le-Brun.

Fin dal 1779 Marie-Victoire Lemoine si fece notare sulla scena artistica parigina con un ritratto di «Maria Teresa di Savoia Carignano principessa di Lamballe» esposto al Salon che le aprì le porte dell’alta società francese. Alla protezione della potente principessa si unì presto quella del duca d’Orléans, altrettanto significativa per la sua carriera. Gli esordi di Marie Victorie non furono tuttavia scevri da contestazioni: nel 1786 sarà infatti attaccata violentemente in occasione di un’«Exposition de tableaux à la place Dauphine» dall’abate di Fontenay, che tuonò con parole di fuoco contro i genitori che permettevano alle figlie di fare le pittrici invece di avviarle a divenire donne di casa. Chissà se l’abate fu poi decapitato.

Marie-Victoire, che con il suo lavoro diventerà molto ricca, sarà maestra delle sorelle e della cugina, tutte dotate di grande abilità pittorica. La loro comune abitazione nel cuore di Parigi si trasformerà in un atelier e le quattro sorelle e la loro cugina riusciranno a superare indenni le tempeste della Rivoluzione. A partire dal tempo del Direttorio i quadri di questo gruppo di donne agguerrite si moltiplicano.

Le sorelle nel frattempo si sposano tutte, salvo Marie-Victoire, hanno figli, partecipano attivamente a dibattiti culturali e politici, diventando amiche di personaggi come Nicolas Chambon de Montaux, il primo medico ad aver indagato sulla fisiologia del piacere sessuale femminile, si aprono a tematiche complesse in cui ritratti e scene di genere diventarono messaggi politici e morali. Le Lemoine produssero quadri di impatto e qualità singolare, come quello dipinto da Jeanne- Elisabeth Gabiou che rappresenta una fanciulla che porta sulla spalla, con naturalezza e senza affettazione, un pesante spadone da guerra e che fu presentato al Salon del 1817.

Come suggerisce Carole Blumenfeld questa è un’opera aperta: la bambina sta riponendo l’arma del padre alla fine dell’epopea napoleonica poiché è cominciato un tempo di pace? O invece si attrezza per apprestarsi a combattere per le molte battaglie che le donne dovranno affrontare durante tutto l’Ottocento per la loro emancipazione? In qualsiasi caso si tratta di un quadro iconico, che farà certamente molta strada nei prossimi anni nell’immaginario francese e europeo, un quadro separato dai nostri moderni sentimenti solo da una membrana sottile e vibratile.

Enigmatica invece la giovane donna vestita di nero di Marie-Denise Lemoine, del 1802, che si allaccia uno scarpino. L’autrice è così brava che le sue poche opere sono state spesso attribuite a Girodet e a David, in un’ottica di cancellazione sistematica del talento femminile che non ha mai voluto tener presente una semplice regola: il talento non ha sesso. In questa mostra ci sono molti altri quadri che meritano di essere ammirati: ritratti, autoritratti e figure allegoriche.

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