Al MoMA si (ri)comincia da un disegno

Il «grado zero» dell’arte di metà Novecento

«Senza titolo (Disegno di fumo)» (1959) di Otto Piene, New York, MoMA. © 2019 Otto Piene / Artists Rights Society (Ars), New York / VG Bild-Kunst, Germany
Federico Florian |  | NEW YORK

Modesto, diretto, immediato: il disegno, secondo molti artisti e critici attivi a metà del secolo scorso, rappresentava una sorta di «grado zero» dell’arte. In un mondo appena scosso dal secondo conflitto mondiale, in cerca di nuovi valori e significati, anche l’arte desiderava ricominciare da capo, avviare una fase di «ricostruzione» estetica attraverso un medium da sempre legato a un’idea di freschezza e invenzione creativa.

Un’attitudine che il MoMA tenta di esplorare in una nuova mostra («Degree Zero: Drawing at Midcentury», aperta fino al 6 febbraio) che raccoglie circa cento disegni dalla collezione, tutti realizzati in un arco temporale che va dal 1948 al 1961 da parte di artisti di varie generazioni e molteplici provenienze: dagli Stati Uniti all’America Latina, dall’Asia all’Europa, in un approccio «globale» volto a rivelare, in quel determinato momento storico, l’universalità di tale sentimento nei confronti del disegno.

Tra i lavori esposti, un nucleo di opere in cui graffi e segni simili a scarabocchi dimostrano la necessità di un «ritorno alle origini», come i «graphismes» di Jean Dubuffet o i «Graphis» dell’artista Fluxus Dick Higgins. Altre tendenze documentate in mostra sono il disegno calligrafico (come nei lavori di Franz Kline, David Smith e Norman Lewis, influenzati dalla calligrafia giapponese) e il disegno di origine performativa, indissolubilmente legato al movimento: caso esemplare è quello di Otto Piene, i cui disegni di fumo e fuliggine testimoniano la radicalità di un’azione estrema e rigenerante, quella di dare la carta (il supporto stesso dell’opera) alle fiamme.

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