Al MoMA l’impatto del video nel mondo dell’arte
È una forma d’arte indisciplinata e sfuggente che fin dall’inizio ha creato sfide istituzionali e che resta impossibile confinare tra le mura di un museo

Sono Stuart Comer e Michelle Kuo i curatori della mostra multimediale «Signals: come il video ha trasformato il mondo» che il MoMA propone allo Steven and Alexandra Cohen Center for Special Exhibitions fino all’8 luglio. 70 opere, provenienti in larga parte dalle collezioni del museo, affrontano l’impatto esercitato dal video sull’arte e la sfera pubblica, sondando temi di estrema attualità come gli intrecci tra società, politica e comunicazione che, dalla rivoluzione televisiva alla democrazia elettronica, hanno reso questo medium un imprescindibile agente di cambiamento.
«Il video è un aspetto pervasivo e determinante della vita contemporanea, ma anche una forma d’arte indisciplinata e sfuggente che fin dall’inizio ha creato sfide istituzionali, sottolinea Comer. La nostra mostra arriva quasi 50 anni dopo il rivoluzionario incontro “Open Circuits: An International Conference on the Future of Television”, che proprio il MoMA ospitò nel 1974, catalizzando una comunità di artisti, curatori, critici ed educatori. Da allora il museo ha continuato a raccogliere video, tanto da disporre di una delle più complete collezioni multimediali internazionali. Pur trattandosi di un linguaggio che resta impossibile confinare tra le mura di un museo».
Fruibile «fisicamente» nelle sale del museo e virtualmente nel suo sito, «Signals» consente di misurarsi con una pluralità di utilizzi e una diffusione geografica che spazia dagli esperimenti a circuito chiuso ai video virali, dall’attivismo alla persuasione politica, dalle prove forensi alle narrazioni alternative, senza dimenticare l’attuale, nevralgica querelle informazione-disinformazione.
Tra le opere più significative, compare una recente acquisizione del MoMA, cioè «Movie Drome» (1965) di Stan VanDerBeek, una «macchina dell’esperienza» concepita come prototipo di un sistema globale di telecomunicazione. È invece del 2013 «Double Quadruple Etcetera Etcetera» di Sondra Perry, che affronta l’attuale contraddizione tra crescita esponenziale di interattività e visibilità digitali e persistenza di una violenza fisica che silenziosamente riesce a sopraffare e sopprimere.
«Il video è diventato ampiamente accessibile come tecnologia di consumo negli anni ’60, ma in tutto il mondo è stato anche completamente assoggettato al controllo commerciale e governativo, conclude Kuo. Oggi, con un processo notevolmente accelerato dalla pandemia, il video è diventato onnipresente, mantenendo la sua duplice accezione di strumento sia di persuasione e propaganda, sia di testimonianza e resistenza».