Ai Weiwei ridà un senso politico alle cose

Centinaia di migliaia di frammenti in cinque grandi installazioni al Design Museum testimoniano il vandalismo politico subito dall’artista cinese

Ai Weiwei al Design Museum di Londra nel settembre 2022. © Rick Pushinsky for the Design Museum
Elena Franzoia |  | Londra

Il capo curatore del Design Museum Justin McGuirk cura con Rachel Hajek «Ai Weiwei: Making Sense», allestita dal 7 aprile al 30 luglio. Per la prima volta una mostra evento si sofferma sul rapporto del celebre artista e attivista cinese, assente da otto anni dal panorama espositivo inglese, con il mondo degli oggetti e la sua storia, in un’esplorazione che dalla scala del design giunge all’architettura espandendosi anche agli spazi esterni del museo.

Negli anni Novanta infatti Ai Weiwei ha iniziato a collezionare piccoli manufatti, spesso apparentemente banali o addirittura frammenti, che in centinaia di migliaia, ammonticchiati o ordinatamente esposti in «campi», compongono oggi sui pavimenti del Design Museum cinque grandi installazioni. «I campi di Ai Weiwei sono straordinari e raccontano una storia di ingegnosità umana che abbraccia millenni, diventando una riflessione sul valore delle cose, su storie e abilità dimenticate, sulla tensione tra industriale e artigianale, afferma McGuirk. La loro scala è inquietante e commovente, e nel tentativo di dare un senso a queste opere il visitatore è sfidato a pensare a che cosa apprezziamo e a che cosa distruggiamo».

Tre campi sono completamente inediti, mentre due non sono mai stati esposti in Gran Bretagna. Creato tra 1993 e 2000, «Still Life» allinea 1.600 strumenti della tarda età della pietra ricordando come la nascita del design sia strettamente legata alla sopravvivenza. «Left Right Studio Material» raccoglie per la prima volta i migliaia di pezzetti in cui furono frantumate le sculture di porcellana dell’artista quando nel 2018 il Governo cinese fece demolire il suo studio di Pechino. Ovvio simbolo di repressione, l’installazione suggerisce però anche l’eterna vitalità rigeneratrice del gesto artistico.

Testimone della sofisticata tecnologia raggiunta dagli artigiani cinesi nella lavorazione della porcellana, il campo «Spouts» (2015) è costituito da 200mila beccucci di teiere e brocche di vino risalenti alla dinastia Song (960-1279 d.C.) che sono in realtà errori di lavorazione (se un manufatto non era perfetto il beccuccio si rompeva). Sempre alla dinastia Song risalgono le 100mila palle di cannone in porcellana Xingyao dell’installazione inedita «Untitled (Porcelain Balls)», che vive dall’apparente contraddizione tra preziosità del materiale e uso bellico.

Inedita sia come installazione sia come denuncia, con aspetti di arte partecipata, è poi «Untitled (Lego Incident)», che ricorda la vicenda in cui la Lego negò all’artista la vendita dei celebri mattoncini, utilizzati a partire dal 2014 per ritrarre esuli e prigionieri politici. Ai Weiwei narrò il fatto sui social venendo travolto dalle donazioni dei follower, oggi protagoniste di questa nuova opera. I cinque campi sono affiancati da dozzine di oggetti opere d’arte che ripercorrono la carriera dell’artista, sottolineando il rapporto spesso conflittuale che ci lega agli oggetti: un corto circuito in cui trovano spazio anche un iPhone in giada e alcuni rotoli di carta igienica in vetro e marmo, simbolo della nostra assoluta dipendenza dalle cose più umili ribadita dalla recente pandemia.

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