A Sydney quelli fuori dai margini

La 22ma Biennale australiana punta i riflettori sulle comunità native

Un fotogramma del video «In Pursuit of Venus [infected]» (2015-17) di Lisa Reihana (particolare). Cortesia: l’artista e New Zealand at Venice
Federico Florian |  | Sidney

Sull’onda del riconoscimento internazionale per le pratiche di artisti contemporanei indigeni e First Nations (basti pensare a grandi progetti espositivi itineranti come «Hearts of Our People: Native Women Artists», in mostra alla Renwick Gallery di Washington fino al 17 maggio), la ventiduesima Biennale di Sydney, la terza rassegna d’arte più vecchia al mondo, dopo Venezia e San Paolo, punta i riflettori sulla produzione culturale di comunità native internazionali.

A cura dell’artista indigeno australiano Brook Andrews, «NIRIN», che nella lingua degli aborigeni Wiradjuri significa «bordo» o «confine», raccoglie i lavori di oltre cento artisti da Australia, America, Africa e Asia, le cui pratiche sono rivolte allo smantellamento delle narrazioni occidentali dominanti. «La Biennale di Sydney abbraccia l’arte e le idee del nostro presente, incoraggiando artisti e pubblico a collaborare,
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