A San Marcello Piteglio nasce l’Oasy Contemporary Art
Nell’Appennino pistoiese uno spazio per la conservazione attiva e integrata dell’arte contemporanea immerso nell’area naturalista protetta Oasi Dynamo

Un modello di conservazione attiva e non passiva in un’area protetta (Oasi Dynamo) ma integrata con attività diverse è la finalità da cui nasce Oca Oasy Contemporary Art, oasi naturalistica ma anche uno spazio per l’arte contemporanea affidato alla direzione di Emanuele Montibeller che dal 5 agosto accoglie i visitatori che, lasciando la macchina in località Piteglio (nel comune di San Marcello Piteglio, Pt), potranno salire attraverso un sentiero nel bosco, dove vivono specie di piante rare e una grande varietà di animali selvatici, fino a raggiungere il luogo in cui sono esposte le opere di questa prima parte del progetto in divenire.
Un progetto che si basa dunque sulla sostenibilità e che coinvolgerà, tra gli altri, il filosofo Emanuele Coccia, la poetessa Mariangela Gualtieri o il teorico della postfotografia e artista Joan Fontcuberta, già venuto per un sopralluogo, parte del progetto triennale sulla fotografia curato da Giovanni Calvenzi, che prevede anche la partecipazione di Thomas Struth. L’esperienza comincia infatti con il cammino non con l’arrivo (ma esiste un luogo dove rifocillarsi, Casa Luigi) e tende alla comprensione di quell’unione spesso troppo dimenticata tra bene culturale e bene ambientale (eppure il ministero fondato da Spadolini nel 1974 recava proprio questa dicitura, presto abbandonata).
A inaugurare il progetto sono David Svensson e Massimo Vitali con due interventi diversi visibili sino al 5 novembre: la mostra di Massimo Vitali «La grande oasi, The way we live, now», a cura di Giovanna Calvenzi, pone a confronto nello spazio, già adibito alle stalle, e ora molto ben allestito, lavori storici come quelli delle spiagge di Rosignano Solvay con nuovi lavori concepiti per questa occasione, immagini impresse su stendardi disposti in diagonale nel percorso. Vitali ha lavorato con la gente del luogo, giovani e anziani, seguendo la sua vena da sociologo nell’indagare i rapporti che legano le persone con la natura appenninica in cui vivono e lavorano, sollecitando similitudini tra volti e corpi con gli alberi dai tronchi nodosi, dalle fronde ricche o più fragili, in quei paesaggi rigogliosi o spogli a seconda delle stagioni. E per meglio rendere ciò, Vitali ha rinunciato alla sua tecnica di elezione, ovvero la ripresa dall’alto con un cavalletto di cinque metri (il «punto di vista del principe») preferendo l’«equa distanza».
Il fotografo comasco non è nuovo di questi luoghi, avendo già realizzato molti anni fa un workshop per «Dynamo Camp», l’associazione fondata da Paul Newman nel 1988 per bambini con gravi patologie, che qui, situata poco più in basso, vede una struttura «ricreativa» voluta dalla famiglia Manes, proprietaria di tutti i terreni e per la quale sono stati coinvolti negli anni intere generazioni di celebri artisti.
Il lavoro di Svensson «Home of the world» è invece un’installazione con circa ottanta bandiere che sventolano seguendo la curva dell’andamento della collina: se proviamo a decifrarle, quando il vento le dispiega, non ne riconosciamo nessuna perché l’intento dell’artista svedese, che ha lavorato con un’equipe di suoi giovani collaboratori, è stato quello di scomporre e rimescolare attraverso la grafica i simboli nazionali, disorientandoci e creando un’identità collettiva che si oppone all’idea di confine, causa di tanti conflitti; nella mescolanza (Turchia, Grecia, Svezia ecc) le bandiere ci raccontano storie diverse. Non possiamo vederle mai tutte insieme, perché il vento le muove diversamente, ma dobbiamo attendere, e nel frattempo le fronde stesse degli alberi circostanti danno l’idea di essere a loro volta bandiere, sottolineando la volontà di assottigliare i confini tra forme dell’arte e forme della natura, invitandoci, sottolinea Montibeller, a essere «più nomadi e più resilienti».
Nell’oasi Dynamo, mille ettari che si estendono fino a 1.100 metri (un tempo la riserva di caccia della famiglia Orlando, che, nel 1911, aveva fondato lo stabilimento della Smi, la Società Metallurgica Italiana), poi recuperata nel 2006 ora aperta all’ecoturismo con lodge «nascosti» nel bosco, saranno invitati in futuro architetti quali Michele De Lucchi, Stefano Boeri, Kengo Kuma, Alejandro Aravena e Matteo Thun, artisti come Diana Scherer, Edoardo Tresoldi, Davide Quayola, lo scrittore Leonardo Caffo e altri.
La curatrice Diletta Cancellato curerà installazioni tese a riconnettere il tessile e la natura, sfidando designer, stilisti e artisti a trovare nuove soluzioni che possano coesistere e nutrire gli ecosistemi. È previsto inoltre un programma di incontri interdisciplinari sui temi lanciati da Oca.
