A Pisa i macchiaioli si tingono di blu

L’ampia mostra a cura di Francesca Dini è un’attenta ricognizione del movimento toscano, non ancora del tutto libero dall’accusa di provincialismo lanciata da Longhi

«Marmi a Carrara Marina», di Vincenzo Cabianca (particolare)
Laura Lombardi |  | Pisa

La mostra «I macchiaioli», in corso fino al 26 febbraio nel Palazzo Blu di Pisa e a cura di Francesca Dini, rappresenta un’attenta ricognizione del movimento toscano (offerta anche dai saggi nel catalogo Skira), non ancor del tutto libero da quella accusa di provincialismo lanciata soprattutto da Roberto Longhi, dura da togliere, nonostante l’interesse poi espresso negli ultimi decenni da studiosi quali Carlo Del Bravo, Sandra Pinto, Ettore Spalletti, Carlo Sisi e Fernando Mazzocca, per non citarne che alcuni.

Dini, che ai macchiaioli ha dedicato vari scritti e mostre negli anni, ripercorre l’attività di avanguardia svolta dal gruppo nella creazione di un nuovo linguaggio nel quale l’esigenza di uno sguardo nuovo sulla natura e sulla realtà si affida a uno stile più sintetico: la «macchia» (nome peraltro trovato dai detrattori), quella «esagerazione del chiaroscuro pittorico» come la definirà uno dei protagonisti, Telemaco Signorini, frutto della rigorosa scansione dei volumi nella luce, che svolge infatti un ruolo essenziale.

Nel prendere le distanze dall’enfasi romantica, allora dominante in seno all’Accademia, i macchiaioli guardano alla Francia, agli artisti della scuola di Barbizon e al Realismo di Courbet (molti di loro saranno a Parigi proprio l’anno dell’Esposizione Universale del 1855), ma maturano una particolare e originale declinazione di Realismo, traducendo, per analogia, la lezione formale dei maestri del Tre e del Quattrocento toscano in contenuti contemporanei.

Francesca Dini si concentra sugli anni 1855-67, quelli che vedono la nascita e lo sviluppo di un progetto condiviso, ma dedica anche una sezione conclusiva alle vie seguite dai protagonisti del gruppo dopo il Settanta. Il percorso espositivo, scandito solo da quadri di notevole fama e livello, riunisce oltre 120 opere e segue un andamento cronologico ma anche tematico, muovendo dagli anni del caffè Michelangelo, fucina di incontri e di idee, alla maturazione dello sguardo sul paesaggio e sulla realtà, con l’abbandono del quadro di storia; passaggio che si compie anche nell’adesione profonda ai valori del Risorgimento (molti di loro furono mazziniani convinti).

Significativi i focus sui luoghi emblematici della ricerca macchiaiola, la Liguria, Castiglioncello e Piagentina. Una sezione è dedicata al «Gazzettino delle arti del disegno», la rivista fondata da Diego Martelli, critico e mecenate dei macchiaioli. Tra le rivelazioni, alcuni inediti, citati dalle fonti, come «Il mattino» e «Donne a La Spezia» di Vincenzo Cabianca. «Siamo sempre timorosi nel sottolineare quanto importante e innovativo sia quel movimento nell’arte europea; certo, come tutte le avanguardie, si esaurì, ma l’importanza storica e la poesia di quegli artisti non è inferiore a quella di altri ben più noti», commenta la curatrice.

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