Alessandro Martini
Leggi i suoi articoliAppassionati melomani attraversano i tradizionali «mari e monti» alla ricerca della soprano più dotata e acclamata (o glamour), della regia più innovativa, dell’allestimento più sperimentale e possibilmente affidato a qualche artista di fama. L’anno scorso è stato William Kentridge ad allestire la «Lulu» di Alban Berg al Teatro dell’Opera di Roma.
Quest’anno è molto attesa la «Turandot» di Puccini con cui il Massimo di Palermo inaugura il 19 gennaio (fino al 27) la propria stagione, affidandola alla regia di Fabio Cherstich e alla conduzione di Gabriele Ferro. A incuriosire è in particolare il coinvolgimento per video, scene e costumi del collettivo di artisti russi AES+F, che nel corso degli anni si sono particolarmente dedicati alle «intersezioni» tra fotografia, cinema e tecnologie digitali (ricordate i loro film presentati nel 2007 e nel 2015 alla Biennale di Venezia?).
La loro sarà una «Turandot» globalizzata, multietnica, ambientata nel terzo millennio grazie a tableau e composizioni in cui il futuro, ibrido e multiforme, guarda all’iconografia del passato. Durante Manifesta 12, il collettivo ha esposto, proprio nel Teatro Massimo, un’installazione che esplorava il tema della migrazione e la crisi dei rifugiati nel Mediterraneo. I video per «Turandot» verranno presentati a San Pietroburgo nel Lakhta Center, un grande complesso a destinazione terziaria e culturale.
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