A Ostia la memoria è un’arte necessaria

Nella sinagoga della città antica in mostra le opere di Arena, Eichhorn e Icaro

«Ero una pietra-Sarò una pietra», di Francesco Arena, alla Sinagoga di Ostia Antica, il giorno dell’inaugurazione di «Arte in Memoria»
Guglielmo Gigliotti |  | Ostia (Rm)

Fino al 16 aprile, nella sinagoga di Ostia antica, sono visibili le opere di Francesco Arena, Maria Eichhorn e Paolo Icaro, nell’ambito dell’undicesima edizione di «Arte in Memoria», curata, come tutte le precedenti, da Adachiara Zevi. Promosso da vari enti, tra cui il Ministero della Cultura, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane e l’Ambasciata tedesca, il progetto biennale ha visto all’opera, tra i monumentali ruderi della più antica sinagoga d’Occidente (I secolo d.C.), dalla prima edizione del 2002, artisti come Kounellis, LeWitt, Mauri, Paolini, Mochetti, Fabro, Cabrita Reis, Prini, Anselmo, Weiner, Buren, Penone, Long, Nagasawa, Castellani.

Si tratta, per la curatrice, di «trasformare un luogo di culto in luogo di cultura». È così che Francesco Arena ha pensato di collocare, in ciò che resta del tempio ebraico, un tronco di colonna lungo 166 cm, ovvero quanto la sua stessa persona. Alle due estremità, le frasi incise «Ero una pietra» e «Sono una pietra» alludono al tema della memoria della pietra rapportata a quella dell’uomo.

Icaro, da sempre attento al rapporto tra spazio e corpo che lo abita, ha disposto un lungo filo che attraversa gli ambienti della sinagoga, serpeggiando tra i resti antichi e abbracciando le colonne. È il «Filo della memoria», definito dall’84enne artista «non un oggetto, non una scultura, ma un dispositivo della memoria».

L’artista concettuale tedesca Maria Eichhorn ha dato invece vita all’operazione «Porre due pietre del Lago di Tiberiade su un muro della Sinagoga di Ostia antica», con cui ha inteso rievocare la tradizione ebraica di lasciare una piccola pietra sulla tomba di un defunto a testimonianza del suo passaggio.

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