A Marrakech, 1-54 si rinnova

Dedicata all’arte contemporanea africana e alla sua diaspora, la fiera ha radunato una ventina di gallerie africane e internazionali

La fiera 1-54 presso La Mamounia. Foto di AC
Alexandre Crochet |  | Marrakech

Dopo due lunghi anni di assenza, compensati da edizioni parigine, la fiera 1-54, conclusa il 12 febbraio (si era inaugurata il 9), ha fatto il suo ritorno a Marrakech. È stata la più intima ma anche la più emblematica delle edizioni perché si è svolta in «casa», nel continente africano (il titolo rimanda proprio al numero dei Paesi africani), traendo la sua forza dal potente fascino della città ocra e anche dalla sua incantevole cornice: la sala da ballo dell’Hotel La Mamounia.

Creata nel 2018 da Touria El Glaoui come ritorno alle origini, Marrakech segue 1-54 London (2013), la più grande per dimensioni, e 1-54 New York (2015). I suoi vantaggi? «Marrakech è molto vicina all’Europa e non ha bisogno di visti, spiega la direttrice. La sua specificità è che si parla sia francese sia arabo, con un pubblico francofono più numeroso che altrove».

Nonostante un calendario quest’anno particolarmente fitto a febbraio, con, tra l’altro, Menart Fair Brussels (dedicata ad artisti del Medio Oriente e del Nord Africa) subito prima e, subito dopo, Investec Cape Town Art Fair, la fiera di Marrakech è riuscita a riunire, come nel 2020, 20 gallerie, un formato imposto dalla sede.

Con dodici nuovi espositori, questa quarta edizione si è presentata fortemente rinnovata. «Nonostante il fitto calendario, abbiamo avuto una galleria, Superposition, che è venuta da Miami Beach per la prima volta e ha voluto fare di Marrakech la sua priorità», osservava Touria El Glaoui. La galleria esponeva opere di Audrey Lyall e Ambrose Rhapsody Murray rispettivamente a 6.500 e 25mila dollari.

Un altro nuovo espositore era la galleria Templon. Il suo ingresso in fiera è stato spettacolare con un’opera monumentale di Kehinde Wiley, venduta per 750mila euro, e con un dipinto di Omar Ba sull’impatto ambivalente della stampa in Africa, proposto a 110mila euro. Un livello di prezzi insolito al 1-54 di Marrakech.
Opera di Omar Ba nello stand della galleria Templon, nuovo espositore. Foto di AC
La galleria parigina esponeva tra l'altro un’opera quasi astratta di Alioune Diagne «recentemente scoperta alla Biennale di Dakar», come ha spiegato Daniel Templon, e all’inaugurazione ha venduto «a una fondazione africana situata su un’isola» un’opera di Abdelkader Benchamma. Non è difficile indovinare che si tratta della Fondazione H, il cui direttore è un ex conoscenza di 1-54 e che in primavera aprirà una nuova sede in Madagascar. La fondazione è stata molto attiva all’apertura della fiera, acquistando anche un’opera tessile di Yacinthe Ouattara dalla 193 Gallery, un altro nuovo partecipante.

«Finora abbiamo concluso nove vendite, con acquirenti marocchini, inglesi e americani. Una grande diversità di collezionisti», affermava poco prima della chiusura César Lévy, direttore della galleria, aggiungendo che«per il suo formato, 1-54 Marrakech è ideale per i collezionisti ma anche per i molti consulenti che sono venuti e che non hanno nulla da vedere».

Tra gli altri partecipanti figurava la Galerie 38 di Casablanca, che il 9 febbraio ha aperto un nuovo spazio nel quartiere Guéliz di Marrakech con una vivace selezione di giovani artisti «astratto-geometrici». In fiera ha venduto diverse opere, tra cui un lavoro tessile di Abdoulaye Konaté. Resta il fatto che per questa edizione sono giunte dall’Africa solo sei gallerie, di cui quattro con sede in Marocco, rispetto alle quattordici del 2020. Il regime di importazione temporanea delle opere, che devono essere rispedite nel Paese della galleria prima di essere restituite all’acquirente, non facilita sicuramente le cose.

Anche un nuovo partecipante, Foreign Agent, di Losanna in Svizzera, ha dedicato una mostra personale al giovane americano Nicolas Coleman, con madre svizzera e padre afroamericano; un artista che nei suoi ritratti piuttosto classici di interni marocchini (da 1.000 a 4.200 euro) s’interroga sottilmente sulla sensazione di essere straniero in Marocco. Lo stand è andato sold out grazie al forte, e precoce, interesse americano.

Tra gli habitué, Nathalie Obadia ha venduto lavori, tra gli altri, a «italiani di Parigi e a un finanziere che vive tra Londra e MarrakechNon abbiamo smesso di lavorare. Abbiamo venduto solo a persone che non conoscevamo, ma abbiamo anche rivisto gli altri», ha dichiarato la gallerista parigina, che ha venduto opere con prezzi compresi tra i 7mila euro di Seydou Keïta e i 40mila di Youssef Nabil.

Un altro nome familiare della fiera, Magnin-A, ha dedicato il suo stand all’angolana Ana Silva, le cui opere tessili esplorano il tema del lavoro minorile (da 8mila a 18mila euro). Un’installazione dell’artista è stata presentata in parallelo presso lo spazio Dada adiacente a piazza Jeema El-Fna.

Cécile Fakhoury, galleria con sedi nel Triangolo d’Oro parigino, in Costa d’Avorio e in Senegal, ha venduto «metà del suo stand, il che non è stato il massimo», faceva notare il direttore Francis Coraboeuf, che per Parigi sta preparando una personale di Mariam Abouzid Souali, esposta in fiera.

Vanessa Branson, sorella del fondatore del Virgin Group Richard Branson, è arrivata con una lista di artisti da vedere e, ancora una volta, è stata molto attiva, acquistando opere da almeno 7 o 8 gallerie.

Gli espositori però speravano in una visita in fiera della famiglia reale marocchina o dei suoi consiglieri, che in passato sono stati ottimi acquirenti.

© Riproduzione riservata Opera di Ana Silva presso Magnin-A. Foto di AC
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