20 regioni nel villaggio metafisico delle Gallerie d’Italia
90 nuclei e 231 manufatti per la XIX edizione di «Restituzioni» di Intesa Sanpaolo

Con oltre 2mila opere restaurate in poco più di 30 anni, il progetto «Restituzioni» di Intesa Sanpaolo è un pilastro della salvaguardia del patrimonio artistico italiano. I risultati della XIX edizione sono esposti fino al 25 settembre nelle Gallerie d’Italia - Napoli: 200 manufatti dall’archeologia ad Antonello da Messina, Bellini, Boccioni, Manet e Mainolfi. Ne parla Silvia Foschi, responsabile Patrimonio storico artistico e attività culturali di Intesa Sanpaolo.
Le risorse pubbliche non sono sempre sufficienti per il vasto patrimonio italiano. Come e dove nasce «Restituzioni»?
Nasce nel 1989 per rispondere a questo tema con una certa lungimiranza, nella Banca Cattolica del Veneto poi confluita nel gruppo Intesa Sanpaolo. È un progetto da sempre rivolto al patrimonio sia pubblico sia ecclesiastico (purché destinato alla pubblica fruizione). Per la prima edizione fu chiesto alle tre Soprintendenze regionali di individuare delle opere nel Veneto che fossero particolarmente bisognose di restauro e significative per la storia dell’arte e per il territorio. Si restaurarono così le prime 10 opere, con una mostra conclusiva per documentare i risultati, pubblicati anche in un catalogo con gli aggiornamenti storico artistici scaturiti. Una formula immutata.
Quali sono le peculiarità di questa edizione?
Avere coinvolto, per la prima volta, tutte le 20 regioni italiane. Presentiamo i restauri di 90 nuclei di opere per un totale di 231 manufatti (con la collaborazione di 54 enti), abbiamo anche un’opera da Rio de Janeiro e una da Parigi. Si coprono 26 secoli di storia: dagli specchi bronzei della Locride del VI secolo a.C. alla grande campana rossa di Luigi Mainolfi di fine anni ’70. Amplissima anche la varietà di materiali e tecniche: pittura su tavola e su tela, sculture in pietra, marmo, legno, metallo, mosaici, opere di oreficeria, opere su carta, manifatture tessili e oggetti molto particolari come le grandi ante-reliquiario del XV secolo di orafo meridionale con 800 piccoli contenitori cilindrici, ciascuno con una reliquia protetta da una sottile lamina di osso o cartilagine di tartaruga. Ci sono opere da grandi città d’arte e importanti musei, come la «Trasfigurazione» di Giovanni Bellini dal Museo di Capodimonte a Napoli, e decine di opere di centri minori e piccole realtà cittadine.
Ogni oggetto restaurato racconta una storia.
C’è una piccola pace di Orticoli del XV secolo in avorio, caduta dall’altare e rimasta incastrata per secoli tra gli scranni del coro della chiesa che la custodiva; è stata ritrovata, con la policromia intatta. C’è una Madonna con Bambino lignea del Santuario della Madonna delle Grazie di Grosotto, attribuita definitivamente a Giovanni del Maino, un’opera devozionale quattrocentesca nata insieme alla chiesa che la conserva a seguito di un voto dei cittadini per essere protetti dalle scorribande dei Grigioni: ancora oggi conserva i fogliettini con tutte le grazie richieste, fino al Covid. Abbiamo la «Madonna con il Bambino, san Giovanni e santa Elisabetta» dipinta dal Bronzino nel 1560-70, del Museo di Capodimonte: grazie al restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze è stata liberata dal panneggio che copriva e censurava le nudità del bambino, aggiunto in seguito. Ci sono il manto, la corona e lo scettro indossati da Napoleone nel 1805 per l’incoronazione a re d’Italia nel Duomo di Milano.
Quali erano le opere più gravemente danneggiate?
Un affresco di Pompei, pesantemente lesionato dall’incendio che nel 2018 ha distrutto il Museo Nazionale di Rio de Janeiro, è stato recuperato insieme al centro di restauro della Venaria e riportato alla massima leggibilità; era carbonizzato, in egual misura a un larario di Ercolano in legno, imbevuto di paraffina in un precedente restauro. Anche i dipinti di Tolve, di Lorenzo De Caro (?) (attribuiti), erano in pessime condizioni, poco più che degli stracci: due tele trafugate, tagliate, piegate alla rinfusa e sotterrate in un bosco in una scatola di cartone dove sono rimaste a lungo esposte a vento, pioggia, parassiti, animali, insetti e funghi, ora sono di nuovo leggibili.
Come vengono selezionate le opere?
Le Soprintendenze, le Direzioni Regionali e i Musei autonomi forniscono alla banca un elenco di opere bisognose di intervento, corredate dal progetto di restauro. Un comitato scientifico composto da Carlo Bertelli, Giorgio Bonsanti e Carla Di Francesco valuta le proposte: per questa edizione erano 400. I criteri sono l’effettiva necessità di restauro, l’importanza dell’opera per la storia dell’arte e per il territorio di riferimento; la qualità del progetto di restauro.
Com’è allestita la mostra?
Michele De Lucchi e il suo studio hanno realizzato una specie di villaggio metafisico, dove le pareti degli edifici fanno da supporto alle opere d’arte, che tra loro innescano dialoghi e rimandi. Vi sono inoltre una ventina di video (visibili anche online) che raccontano le fasi salienti dei restauri.
E c’è un ricco catalogo gratuito a bassissimo impatto ambientale.
Abbiamo realizzato una breve guida cartacea con un contenuto più divulgativo e la foto dopo il restauro. Su restituzioni.com è disponibile gratuitamente il pdf del catalogo generale: oltre 800 pagine con le schede storico artistiche di taglio scientifico, le intere relazioni di restauro e le foto prima, dopo e durante; su carta sarebbe stato molto costoso e accessibile a pochi.