«Il mio nome è nessuno»

Riaperta presso i Musei San Domenico la mostra sul mito di Ulisse lungo i secoli

Joseph Wright of Derby, «Penelope disfa la sua tela alla luce di una candela», 1783. J. Paul Getty Museum, Los Angeles
Giuseppe Mancini |

Forlì. Omero, Troia, Ulisse. Dopo i grandi appuntamenti del Louvre di Lens e del British Museum dedicati rispettivamente al cantore di Smirne e alla città anatolica conquistata dai greci, lo scorso anno, ha riaperto il 19 maggio ai Musei San Domenico di Forlì la mostra internazionale che si sofferma sull’influenza dell’Iliade e dell’Odissea sull’arte e la cultura del mondo occidentale, dall’antichità ai giorni nostri. A differenza delle due che l’hanno preceduta nel 2019, dal taglio ampio (la storia culturale, l’archeologia) e con l’uso pregevole di strumenti multimediali, «Ulisse. L’arte e il mito», prorogata fino al 31 ottobre, si sofferma su di un solo personaggio, quantunque il più rappresentativo e conosciuto, e ha un’impostazione più tradizionale.

«Non solo un viaggio nell’arte ma un viaggio dell’arte», l’ha definita il suo ideatore e organizzatore Gianfranco Brunelli. La mostra di Forlì esplora come Ulisse è stato rappresentato, interpretato, reinventato dalle varie tradizioni letterarie e artistiche emerse nel corso di due millenni e mezzo: dai vasi attici alla videoarte di Bill Viola, da Omero a Joyce passando per la Commedia di Dante. Una mostra esclusivamente d’immagini.

Ulisse è di volta in volta personaggio dell’epica, mito e ispiratore di miti, personaggio archetipico dell’immaginario occidentale. Sempre citando Brunelli è «l’eroe dell’esperienza umana, della sopportazione, dell’intelligenza, della parola, della conoscenza, della sopravvivenza e dell’inganno, della consapevolezza di sé». La mostra ha un approccio prevalentemente cronologico, presenta circa 200 opere (in larga parte dipinti, ma anche sculture e manoscritti) provenienti da enti museali e collezioni private, in Italia e in Europa. Il percorso espositivo nell’ex complesso monastico si snoda attraverso 13 sezioni, il cui sviluppo è stato affidato a un nutrito gruppo di esperti (tutti italiani).

La prima sezione, introduttiva, è dedicata al «concilio degli dèi»: ospita l’omonima e imponente tela di Rubens (dal castello di Praga) e statue degli dèi greci e romani, tra cui il Marte in marmo nero degli Uffizi. Poi c’è Omero e il suo busto dei Musei Capitolini: il primo ad aver elaborato il mito, letterariamente. Il «viaggio dell’arte» prende rapidamente il sopravvento, a partire dall’antichità: coppe e vasi greci tra cui la splendida kylix a figure rosse del pittore di Oltos che rappresenta Ulisse nascosto sotto un capro in fuga dall’antro di Polifemo, frammenti di sarcofagi con sirene e di statue con Circe, persino frammenti di affresco con Ulisse nel paese dei Lestrigoni (dai Musei Vaticani).

Dall’età arcaica a quella classica aumentano gli episodi: Nausicaa, la tela di Penelope, la strage dei Proci, l’abbraccio tra Ulisse e Laerte. «L’arte antica non è interessata a mettere in scena il poema epico, quanto un uomo che attraverso le sue molteplici e dolorose esperienze ha imparato a conoscere la natura umana», suggerisce Brunelli. Al canto XXVI della Divina Commedia del «folle volo» di Ulisse, derivato dalla tradizione latina, sono riservate due sezioni di assoluta centralità. L’influsso di Dante, il «superamento del mondo antico» e poi «l’eredità dantesca», viene illustrato con codici e miniature, ma anche con capitelli e sarcofagi, con i dipinti e cassoni quattrocenteschi («La partenza di Ulisse» di Guidoccio Cozzarelli).

Seguono il ritorno a Omero e l’ideale morale del Rinascimento, le passioni umane e la natura ideale del Seicento, l’eroe romantico e le inquietudini simboliste, il «Novecento senza Itaca»; una sezione tematica e particolarmente suggestiva è dedicata alle sirene, un’altra alla grafica con illustrazioni di Mimmo Palladino per l’Ulysses di Joyce. Rendono manifesta la grande varietà di temi, di suggestioni, di stili pittorici legata alla rappresentazione di Ulisse nel corso dei secoli: come «Ulisse e Calipso» di Luca Giordano (dall’Accademia dei Concordi di Rovigo), la «Circe invidiosa» di John Waterhouse (da Adelaide), l’«Ulisse. Autoritratto come Odisseo» di Giorgio de Chirico (da collezione privata).

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