«Grandi successi» in vent’anni di Riverboom

Inaugura il 14 dicembre «Riverboom 2002-2022 Greatest Hits - Coming Home», una mostra che celebra la carriera ventennale del collettivo italo-svizzero negli spazi de L’Appartement di Images Vevey, in Svizzera. Giovanna Calvenzi, da sempre sostenitrice, ricorda i momenti salienti del loro percorso

Un’immagine dal libro «The birth of towel art» (2019) edito da Riverboom
Giovanna Calvenzi |

I Riverboom compiono vent’anni. Io in pratica li ho visti nascere, ma i ricordi scappano da tutte le parti. Ci provo comunque. Fine degli anni Novanta. Il primo che ho incontrato è stato Paolo Woods, prima a Firenze e dopo a Parigi. Lavorava per i giornali e io nei giornali lavoravo. Mi aveva proposto un’inchiesta che stava facendo in Iran. Mi piaceva la sua fotografia, le sue immagini dalle inquadrature impeccabili, in bianco e nero, scattate con l’Hasselblad o con la Rollei, a metà tra l’immediatezza del fotogiornalismo impegnato e il ritratto posato. E la sua inusuale capacità di collaborare e condividere idee e progetti con gli altri.

Nel 2003, con Serge Enderlin e Serge Michel, aveva pubblicato Pianeta petrolio. Sulle rotte dell’oro nero e l’anno dopo, sempre con Serge Michel, Caos americano. Nel cuore della crisi:  Afghanistan e Iraq 2002-2004, e mi aveva raccontato la straordinaria avventura che gli era successa in riva al fiume Boom, in Afghanistan. In quell’occasione, il compagno di viaggio di Serge Michel e Paolo Woods era un grafico svizzero, Claude Baechtold, che non smetteva di fotografare con due piccole Olympus amatoriali, una in ogni mano, senza inquadrare.
Un’immagine dal libro «Fifty shades of red» (2017) edito da Riverboom
Inizialmente, la sua presenza irritava fortemente Paolo, ma una notte di paura passata insieme in territorio di guerra aveva fatto nascere una solida amicizia e messo le basi per creare una casa editrice, un impegno che i tre protagonisti della storia avevano preso qualora non fossero morti. La scelta del nome era facile: Riverboom (un gioco di parole tra l’inglese «river» e il fiume Boom). Nascono così i «Riverboomers», geniali giocolieri dell’immagine e dell’editoria trasversale o, come si definiscono oggi, un gruppo di lavoro formato da fotografi, filmmaker, graphic artists, giornalisti e scrittori. Terreno di indagine dei loro progetti? La fotografia è il loro strumento principe, ma nel «campo giochi» che ospita le loro attività fotografiche ed editoriali hanno la stessa importanza la curiosità, l’ironia, la voglia di mettersi in discussione, di confrontarsi, di divertirsi.

Al trio di base si aggiungono a questo punto Gabriele Galimberti e Edoardo Delille, entrambi ex allievi della Fondazione Studio Marangoni di Firenze, entrambi eccellenti professionisti, entrambi grandi viaggiatori. E così diventano cinque. Nasce la collana Le Baechtold’s Best, pseudo-guide turistiche che affrontano come primo progetto l’Afghanistan, poi il Polo Nord, il museo del Louvre, Pechino, Papua. Dal punto di vista dell’immagine, le guide sono una lezione di umiltà: durante i loro viaggi professionali ogni Riverboom si ritaglia uno spazio dedicato a ipotetici futuri condivisi progetti.

Cercano, quando serve, di fotografare con analogo linguaggio, adottando lo «stile Riverboom», per l’appunto. Nel 2010, il primo successo internazionale: Switzerland vs. The World, la Svizzera contro il resto del mondo, confronto ironico fra stereotipi. E sempre con spirito antagonista ecco, nel 2013, Firenze contro il resto del mondo. La casa editrice è solida, i suoi titoli sempre sorprendenti, la distribuzione non è facile ma resiste. Ognuno porta avanti la propria attività professionale, a volte lavorano insieme, a volte da soli.
Un’immagine dal libro «Switzerland vs The World» (2010) edito da Riverboom
Poi ci sono gli «incontri», le presentazioni, le performance, le mostre, e soprattutto i Riverboom Party. Un appuntamento fisso è ai «Rencontres de la Photographie» di Arles, prima in riva al Rodano, poi all’Espace Croisière. Feste, certo, con musica e danze, ma anche con il dono di piccoli gioielli editoriali come, nel 2018, il libro di ricette di Kim Jong-Un, The Chef in Chief creato con la consulenza di Pietro Chelli, esperto di problemi coreani e Dj di ogni occasione musicale. Poi ci sono i raduni di riflessione dei Riverboom, per due volte sul Mar Rosso, al Three Corners Beach Resort, in Egitto, luogo di vacanza nel quale dovrebbero progettare il futuro e lavorano invece sul presente.

In un giorno, il 23 febbraio 2017, concepiscono, fotografano e disegnano Fifty shades of Red, cinquanta sfumature di rosso, dedicato ai diversi gradi di arrossamento della pelle dei bagnanti. Nel 2019 è la volta di The birth of towel art, la nascita dell’arte dell’asciugamano, dedicato alle sculture di spugna create da Islam Ahmed, inventivo impiegato del Three Corners, che sulla spugna che avvolge il libro viene mendacemente festeggiato come vincitore della Biennale di Venezia.

A questo punto devo interrompermi. Per questo testo mi hanno dato 5000 battute e tutti i ricordi non ci stanno. Non ci stanno le mostre che abbiamo fatto insieme, i lavori per i giornali di carta e online che abbiamo condiviso. Sono fiera, orgogliosa di condividere questi ricordi per il loro compleanno. Sono fiera e orgogliosa di essere stata, nel 2005, nella giuria del World Press Photo che ha premiato il lavoro sull’Iraq di Paolo Woods, così come di aver fatto parte della giuria del Premio Ponchielli che ha premiato Paolo Woods nel 2008 e Gabriele Galimberti nel 2020. E sono soprattutto fiera e orgogliosa di essere stata ai loro party, di aver vinto alla lotteria i loro libri, di aver passato, grazie ai Riverboom, giornate e serate nelle quali intelligenza e allegria stavano bene insieme.

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