Collishaw, il sofisticato
La personale dell’artista inglese da M77 Gallery ripercorre le tappe importanti della sua carriera attraverso una trentina di opere

Chi ha detto che ciò che è bello è anche «buono»? Non certo Mat Collishaw, artista inglese, classe 1966, che al modello eroico del «kalòs kai agathòs» degli antichi Greci sembra credere poco, tanto da rammentarci, davanti ai suoi sensuali dipinti di fiori, che «il motivo della loro bellezza è di attrarre farfalle e altri insetti per propagare il polline. I fiori, quindi, con la loro avvenenza, manipolano gli altri [...]. La loro bellezza esiste solo per ragioni molto egoistiche e questo lo trovo piuttosto affascinante». Lui, del resto, è un esponente di primo piano degli Young British Artists. Rispetto ai letti intrisi della propria urina (Tracey Emin) o alle carcasse sezionate di animali immerse in formaldeide (Damien Hirst), lui conduce, però, la sua (molto amara) riflessione sul mondo con argomenti più sottili e più profondi al tempo stesso, dove il suo immaginario perturbante, in cui la violenza gioca un ruolo centrale, trova forme espressive sofisticate.
Un’occasione importante per ripercorrere il suo lavoro è offerta da M77 Gallery, che fino al 15 ottobre presenta una mostra di caratura museale con oltre 25 lavori, curata da Danilo Eccher e intitolata «Alluvion». Esemplare lo zootropio «All Things Fall» del 2014, tratto dal «Massacro degli innocenti», olio del 1590-1610 di Ippolito Scarsella che, spiega l’artista, «crea un’orgia di violenza travolgente, contemporaneamente spaventosa e avvincente». Le nature morte della serie «Last Meal on Death Row» (2012), cioè gli ultimi pasti dei condannati a morte, mostrano la banalità dell’orrore mentre i dipinti del ciclo «Palantir» (2020) le figure larvali di prede e predatori ripresi nelle notti del lockdown. Presente infine il celebre «The Machine Zone» (2019) con sinistri uccelli robotici intrappolati nella loro coazione a ripetere.