È bolognese il primato del bugnato a diamante
Ippolito Bevilacqua-Ariosti ha restaurato la facciata della dimora di famiglia che ha anticipato quella di Palazzo dei Diamanti a Ferrara

Si è concluso il restauro della facciata di Palazzo Sanuti, più noto col nome corrente di Palazzo Bevilacqua dal nome della famiglia Bevilacqua-Ariosti alla quale è pervenuto a fine Settecento in eredità e che lo possiede tuttora. Il restauro, voluto dalla proprietà guidata da Ippolito Bevilacqua-Ariosti (presidente della Sezione Regionale dell’Adsi-Associazione Dimore Storiche Italiane per tre mandati negli anni Novanta) e curato scientificamente dall’architetto Sergio Bettini, reca una sorpresa per chiunque, abituato a vedere la facciata in arenaria a bugnato diamantato di un severo griglio, la veda oggi trasformata dalla pulitura in luminoso susseguirsi di sfumature che dal sabbia dorato giungono al rosato.
Nicolò Sanuti fece erigere il palazzo in via di San Mamolo (oggi via Massimo d’Azeglio) fra il 1477 e il 1482 e lo volle privo di portico, elemento d’architettura tipico dei palazzi bolognesi d’ogni epoca cui sostituì una fascia in bugnato a spigolo smussato in pietra arenaria chiara di Porretta, che corre lungo tutto il piano terreno.
Il palazzo, rimasto nelle forme pressoché originarie, vanta all’interno un cortile ornato da decorazioni in cotto di Sperandio da Mantova e da due logge con colonne, di mano di Tommaso Filippo da Varignana. Nicolosa Castellani, dama bolognese celebre per bellezza e cultura, vedova di Sanuti, lasciò nel 1505 il palazzo a Giovanni II Bentivoglio, i cui eredi, dopo la caduta della signoria bentivolesca, lo vendettero ai Campeggi, altra famiglia patrizia e senatoria di Bologna.
Nel 1547, papa Paolo III trasferì il Concilio da Trento a Bologna, ufficialmente per timore della peste ma in realtà per evitare territori controllati dall’imperatore Carlo V che dava filo da torcere sui dogmi cruciali. A ospitare i cardinali del concilio fu prescelto Palazzo Sanuti, allora proprietà del vescovo di Bologna Alessandro Campeggi che in quella occasione vi avviò lavori di ampliamento e rifacimento, in primis lo scalone, il grande salone detto appunto del Concilio e il portico sottostante.
«Capita raramente di intraprendere un restauro e scoprire che l’oggetto dell’intervento non è stato interessato in passato da altri restauri, se non per sporadiche integrazioni manutentive. Ciò ha contribuito alla conservazione delle arenarie gialle e grigie che compongono la trama bugnata, delle finestre, del balconcino in ferro e del cornicione ligneo»: così Sergio Bettini commenta i lavori su quello che è «forse il più interessante e mai studiato edificio del Quattrocento bolognese», come lo ha definito Bruno Adorni nell’introduzione al volume (Diabasis) realizzato dallo stesso Bettini in concomitanza del restauro in cui ha esposto gli esiti dei suoi studi sull’edificazione e sul rinnovamento in tempi conciliari.
Il variegato bugnato a diamante della facciata anticipa quello più famoso di Biagio Rossetti su Palazzo dei Diamanti a Ferrara: Bruno Zevi in Ferrara di Biagio Rossetti (Einaudi, Torino 2006) indica proprio in Palazzo Sanuti il modello di Rossetti. Bettini attribuisce l’edificio a Ridolfo Aristotele Fioravanti, nato a Bologna nel 1415, cui si devono il Palazzo del Podestà e Palazzo Felicini a Bologna, nonché fortezze militari e rocamboleschi spostamenti di torri, obelischi e costruzioni varie.
Richiesto ovunque in Italia (lavorò a Roma per papa Niccolò V Parentuccelli, a Napoli per Ferrante I d’Aragona, a Milano per Francesco Sforza, a Mantova per Ludovico III Gonzaga, a Firenze per Cosimo il Vecchio), fu attivo anche fuori dalla Penisola: a Budapest progettò per il re Mattia Corvino la Fortezza di Buda e a Mosca, su incarico di Ivan III, edificò la Cattedrale dell’Assunzione o della Dormizione all’interno del Cremlino, nonché le mura triangolari dalle 20 torri con innumerevoli passaggi segreti e celle nascoste, dove lo zar lo fece murare temendo la diffusione dei segreti delle sue fortificazioni.
Quanto ai rimaneggiamenti degli anni 1530-40, Bettini avanza non il nome di Vignola (da alcuni suggerito in passato), del quale Vasari scrive che «ben poco produsse a Bologna», bensì quello di Antonio Morandi il Terribilia, architetto che ha lasciato invece ricca e importante traccia di sé nel panorama architettonico bolognese.
Il peso economico del restauro è stato interamente sostenuto dalla proprietà che spiega: «Nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi di questo abbiamo sempre avuto al primo posto la salvaguardia del patrimonio architettonico di nostra proprietà. Purtroppo i “contributi” concessi a sostegno delle Dimore Storiche (in un’ottica di sussidiarietà tra pubblico e privato e di rapporto debole tra “revenues” e patrimonio, che buon esito avevano dato spingendo i proprietari privati a effettuare restauri altrimenti difficili da finanziare) sono stati sospesi da un decreto legge nel 2012. Nel contesto dell’attuale pandemia sono stati individuati alcuni stimoli al rilancio come i bonus nel settore dell’edilizia con obiettivi verso il green, l’antisismica e il decoro urbano. Di tutte queste facilitazioni abbiamo quindi usufruito laddove possibile e concesso».
