Per la prima volta una grande mostra, «Lo specchio perduto. Ebrei e convertiti nella Spagna medievale», organizzata congiuntamente dal Museo del Prado di Madrid (dal 10 ottobre al 14 gennaio 2024) e dal Museu Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona (dal 23 febbraio al 26 maggio 2024), analizza la costruzione e il ruolo delle immagini nella diffusione dell’antigiudaismo che annidava nella società cristiana in Spagna, dalla fine del XIII secolo fino alla nascita dell’Inquisizione nel 1479, e che sfociò nell’espulsione degli ebrei dalla Penisola Iberica nel 1492.
«Guardiamo il mondo e gli altri in relazione a noi stessi, attraverso la nostra mentalità e il nostro atteggiamento. Ogni immagine creata è uno specchio che riflette un modo di vedere. Da qui il titolo della rassegna che attraverso più di 80 opere dimostra come l’immagine degli ebrei e dei convertiti, costruito dai cristiani in Spagna, riflette le loro superstizioni e le loro paure. La stigmatizzazione visiva degli ebrei fu un riflesso fedele dello specchio cristiano, delle loro credenze e ansie, ma anche un potente strumento di affermazione identitaria» spiega in anteprima a «Il Giornale dell’Arte», Joan Molina, curatore della mostra e capo del Dipartimento di Pittura Gotica Spagnola del Prado.
Molina sottolinea come in Spagna si creò una situazione unica in Europa a partire dai tragici pogrom del 1391, che propiziarono una massiccia conversione di ebrei al Cristianesimo. «Anziché evitare il conflitto, le conversioni alimentarono la diffidenza e il sospetto e le immagini di culto si trovarono al centro della controversia, usate come prove per affermare la sincerità dei nuovi cristiani o, al contrario, per accusarli di eresia. Consapevole del potere delle immagini, l’Inquisizione ne fece un uso intensivo, sia per legittimare il suo operato, sia per creare scenografie propagandistiche, capaci di influenzare il popolo, e anche per saggiare la sincerità o falsità dei convertiti. Le immagini di questa mostra provano che la differenza esiste, ma che l’alterità si costruisce», dichiara Molina, che ha selezionato opere realizzate con tecniche diverse (dipinti, sculture, miniature, oreficerie, rilievi e manoscritti miniati), provenienti da quasi trenta chiese, musei, biblioteche, archivi e collezioni private spagnole e straniere.
La collaborazione tra i due musei di arte antica più importanti di Spagna garantisce la presenza di un numero eccezionale di opere fondamentali, tra cui i paliotti del Maestro di Vallbona de les Monges, la «Fontana della Vita» di Jan van Eyck e le pale d’altare che Pedro Berruguete, conosciuto come il pittore dell’Inquisizione, realizzò per il convento di San Tommaso d’Avila, compreso il celebre «Autodafé presieduto da san Domenico di Guzmán», un’istantanea fedele della vita castigliana ai tempi di Isabella la Cattolica. A questi si aggiungono importanti prestiti come le Cantigas di Alfonso X il Saggio, una raccolta di canti monodici in onore della Madonna, la «Haggadah dorata» un manoscritto miniato ebraico conservato nella British Library di Londra, il Fortalitium Fidei, un trattato sui nemici della fede cristiana che comprendeva eretici, ebrei, musulmani, streghe e demoni, in prestito dalla Biblioteca Nazionale di Parigi o il sepolcro di Pedro di Arbués, inquisitore del regno d’Aragona, assassinato nel 1485 da un gruppo di ebrei convertiti.
Il percorso, diviso in 5 sezioni, si apre con una situazione di convivenza tra cristiani e ebrei che si deteriora a partire dal XIII secolo, secondo i teologi cristiani, per l’incapacità degli ebrei di accettare la natura divina di Cristo, una polemica che si plasmò nella metafora visiva della cecità degli ebrei, raffigurata in numerose opere. «Nonostante alcune autorità continuassero a difendere la possibilità di una conversione sincera, le immagini di questa cecità aprirono la strada alla costruzione dell’alterità degli ebrei», aggiunge Molina.
Di lì ai pregiudizi razziali, il passo fu breve: la conversione non poteva essere autentica perché gli ebrei avevano sangue impuro e così si crearono gli statuti per il sangue puro che portarono all’espulsione degli ebrei nel 1492. «È una mostra molto rigorosa e accademicamente solida, ma animata da uno spirito di divulgazione, che si riflette anche nel catalogo che l’accompagna», conclude il curatore.