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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliIl divino scultore aprirà e chiuderà la mostra «Canova tra innocenza e peccato» che s’inaugura il 19 dicembre (fino al 18 aprile) al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto e Trento. In mezzo, le opere del ’900 di fotografia e scultura selezionate a dimostrazione della tesi dei curatori Denis Isaia e Beatrice Avanzi.
«Rileggiamo il ’900, spiega Isaia, come il secolo in cui, nonostante il passaggio delle avanguardie storiche, resta fortissimo il fascino per l’antico. Fatte salve le profonde trasformazioni del linguaggio, si è continuato a guardare al passato».
«Questa mostra, aggiunge Beatrice Avanzi, nata da un’idea del presidente del Mart Vittorio Sgarbi, si colloca nel filone costruito sui confronti, a volte molto arditi, tra il passato e il presente, seguendo una linea di continuità lungo i secoli». Una dozzina le sculture di Canova in esposizione, dieci gessi e due marmi, provenienti dalla Gypsotheca di Possagno.
«La prima sezione, “Guardare Canova”, ripercorre Avanzi, racconta attraverso gli scatti di alcuni fotografi, dai fratelli Alinari, a Luigi Spina, da Aurelio Amendola a Paolo Marton, lo sguardo sulla sua opera di chi ha cercato di catturare il segreto della sua ricerca di armonia e bellezza, in equilibrio, appunto, tra innocenza e peccato. Prestando il loro obiettivo all’interpretazione di Canova, questi fotografi ne hanno perpetuato l’ideale di perfezione formale».
Innocenza e peccato sono i due poli tra cui si muovono i fotografi della sezione successiva il cui obiettivo è stato «sedotto» da quello stesso canone di bellezza. «Tra l’innocenza di Edward Weston e la peccaminosità di Helmut Newton o Robert Mapplethorpe, continua Isaia, si collocano le immagini di nudo di Wilhelm Von Gloeden, Irving Penn, Eikoh Hosoe, Carla Cerati».
Foto dal profondo impatto scultoreo che dialogano con alcuni artisti figurativi del ’900: «A partire da Wildt, Brancusi, Messina, spiega ancora Avanzi, si arriva a opere di artisti attivi in anni più recenti dove il richiamo al classico è ancora molto forte, come Leone Tommasi, Giuseppe Bergomi, fino ai giovani Livio Scarpella, Elena Mutinella, Jago dove si rinnova il canone canoviano».
Verso la conclusione ci s’imbatte infine in chi, in un’apparente parentela formale, tradisce Canova, «nelle opere di fotografi di segno opposto, conclude Isaia, come Miroslav Tichý, che nella Repubblica Ceca degli anni Sessanta ha colto, spesso di nascosto, con scatti rubati per strada, la verità di corpi femminili imperfetti. O come Jan Saudek che negli anni ’70, chiuso in una cantina, dava corpo a scene erotiche immaginate, evocative della pittura francese di fine ’800 di ambientazione esotica, rimbalzando tra gli antimodelli di Joel Peter Witkin e il realismo impietoso di Lee Friedlander».

Luigi Spina, «Danzatrice col dito al mento» (particolare). Cortesia dell’artista