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Francesca Interlenghi
Leggi i suoi articoliSi intitola «Women» l’indagine, confluita in percorso espositivo, con oggetto l’arte contemporanea al femminile che Marco Orler International Gallery propone a partire dal 20 ottobre, alla Pop House. La mostra, a cura di Luca Nannipieri, mette insieme nove artiste di fama internazionale che hanno superato molte delle convenzioni e dei dogmi ereditati dalla storia dell’arte, articolando ciascuna il proprio linguaggio e producendo esisti formali diversi.
La mostra, visitabile sino al 19 novembre, raccoglie opere di Kiki Smith, Jenny Holzer, Niki de Saint Phalle, Joanna Pousette-Dart, Maria Lai, Grazia Varisco, Tracey Emin, Esiri Erheriene-Essi, Sherrie Levine. I lavori appartengono alla collezione di Marco Orler (figlio d’arte, attivo da trent’anni nel mercato dell’arte) e vogliono rendere omaggio alla creatività delle donne artiste, enfatizzando il bagaglio discorsivo proprio della sensibilità femminile, secondo un percorso eclettico che stimoli la riflessione sull’argomento.
Diversi i temi oggetto di indagine, a partire dal corpo protagonista dei disegni di Kiki Smith (Norimberga, 1954), nota per aver partecipato alla complessa stagione dell’arte femminista con una produzione vasta e variegata, nuova e coraggiosa se si pensa alla sua radicalità espressiva, accentuata anche dalla sperimentazione di tecniche e materiali diversi. Il corpo ritorna, sebbene con accezione diversa, in Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 - San Diego, 2002), che lo declina in figure stravaganti, dai colori accesi, dapprima realizzate con lana, filati, cartapesta e filo metallico e in seguito in poliestere. Si concentra sul cranio invece la fotografa e artista concettuale Sherrie Levine (Hazleton, USA 1947), che appropriandosi di opere di predecessori uomini ne analizza il ruolo nel mondo dell’arte, enfatizzando anche il tema della differenza di genere.
Nell’ambito di questa ricognizione trovano spazio anche i LED di Jenny Holzer (Gallipolis, 1950) e i neon caratterizzati da scritte in corsivo dell’artista femminista e post-modernista Tracey Emin (Londra, 1963). C’è la pittura polisemica di Joanna Pousette-Dart (New York, 1947), che attinge dalla tradizione islamica, mozarabica, catalana, dalla calligrafia e pittura di paesaggi cinesi, dall’arte Maya e degli indiani d’America e quella figurativa di Esiri Erheriene-Essi (Londra, 1982), che racconta scene di vita popolare tra amici o parenti realizzate traendo ispirazione da eventi storici, da esperienze di vita personale oppure da immagini tratte da album di famiglia.
Oltre alle esplorazioni riconducibili all’arte programmata e cinetica di Grazia Varisco (Milano, 1937), co-fondatrice del Gruppo T insieme a Colombo, Anceschi, De Vecchi e Boriani, uno sguardo è rivolto alla grande Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardeu, 2013). La pratica artistica di quest’ultima, quotidiana e che dalla quotidianità traeva la sua linfa, rivela la tendenza tipicamente femminile a trasformare il linguaggio in narrazione tessile, riconnettendolo a ciò che in effetti esso è stato in una tappa remota della sua storia.

«The memo scaled» di Esiri Erheriene-Essi