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Gilda Bruno
Leggi i suoi articoliDal 6 ottobre al 31 dicembre il Camden Arts Centre di Londra apre le porte alla pratica multidisciplinare di Marina Xenofontos (Limassol, Cipro, 1988) e Tamara Henderson (New Brunswick, Canada, 1982), entrambe alla loro prima personale istituzionale nel Regno Unito. Pur provenendo da vissuti e percorsi differenti, le due artiste si rifanno alla versatilità della propria pratica per affrontare le svariate sfaccettature dell’esperienza umana. Senza volerlo, Xenofontos e Henderson instaurano così un dialogo che mette in evidenza le idiosincrasie dell’essere e dell’età odierna, completandosi a vicenda nel raccontarne gli aspetti più intimi e personali, ma anche universali.
In «Green in the Grooves», Henderson tesse un’ode alla Terra e le innumerevoli specie che la popolano in un nuovo corpus dall’essenza surreale. Che si tratti di sculture, installazioni, dipinti, performance o video, ciascuna delle opere esposte s’ispira alla sensorialità che caratterizza la nostra percezione del mondo attraverso materiali di texture, forme e colori contrastanti. Intenta a esplorare la vita «al di sopra e al di sotto della superficie terrestre», l’artista canadese reinterpreta gli elementi che ne compongono la struttura in chiave animistica, dando forma a creature e visioni tanto bizzarre quanto stranamente familiari. Modellata a partire da quattro archetipi, ovvero «Il giardiniere», «Il direttore», «Suono» e «Luce», questa personale coinvolge gli spettatori in cosmologie lontane che ci avvicinano al pianeta e all’universo nella sua interezza.
Per Xenofontos, vincitrice del Camden Art Centre Emerging Artist Prize (2022), nulla racchiude al meglio ciò che significa essere umani come i ricordi che scandiscono la nostra esistenza. Nella sua personale «Public Domain», allestita nella Gallery Three e nella Reading Room dell’istituzione londinese, l’artista cipriota utilizza architettura, luce e spazio per riflettere sulla capacità del body language di rievocare momenti, pensieri e sensazioni ormai sbiaditi dal tempo, distanti. Proprio come gran parte delle interazioni umane hanno perso la loro fisicità con l’avvento dell’era digitale e il delinearsi della realtà virtuale, le sagome antropomorfe di Xenofontos, incorniciate da ambienti sterili e impersonali, appaiono prive della propria vitalità, sospese in un presente anonimo, come imprigionate in un’epoca a cui non si sentono di appartenere.
Qui, oggetti d’uso comune, sculture cinetiche e installazioni luminose contribuiscono a loro volta ad alimentare la dimensione nostalgica e misteriosa di «Public Domain»: una vetrina che sembra volere denunciare lo scontro tra la fragile sfera emotiva dell’uomo e la spinta capitalistica verso il benessere economico, la mobilità di classe, il successo e il potere. Superfici specchiate, puzzle incompleti e ambienti simil domestici coinvolgono il pubblico in un percorso metaforico all’interno del quale proiettare le proprie esperienze per avvicinarsi al significato dei lavori di Xenofontos in maniera del tutto soggettiva. Per quanto private di una narrazione esplicita e unidirezionale, «ognuna di queste opere rappresenta l’essenza quotidiana del mondo materiale con eleganza e profondità insolite, invitando alla riflessione su temi quali la protezione, il supporto, la vita familiare ma, soprattutto, la casa: il più intimo e personale di tutti gli ambienti», ha dichiarato l’artista.

«Twice upon a while» (2020) di Marina Xenofontos. Cortesia dell’artista e di Hot Wheels, Atene

«Green in the Grooves» (2023) di Tamara Henderson. Cortesia dell’artista e di Rodeo