Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliIntraprendere la via dell’arte è stato per lui come prendere i voti. «Una scelta guidata da un sentimento di sottrazione, con l’idea di trasferire un’esistenza, ancora molto acerba, dal mondo reale a una dimensione segnata dall’assenza di fenomeni». A raccontare la sua idea di arte come vocazione è Giulio Paolini (Genova, 1940), guida di eccezione durante la visita alla sua mostra personale «Et in Arcadia ego», che dal 15 ottobre al 3 marzo 2024 è visitabile nella Galleria d’Arte Moderna Achille Forti a Palazzo della Ragione di Verona. La mostra è curata da Patrizia Nuzzo, responsabile delle collezioni della Gam, e da Stefano Raimondi, direttore artistico di ArtVerona alla sua 18ma edizione dal 12 al 15 ottobre e di cui questa mostra costituisce un’emanazione realizzata con i Musei Civici, uno dei principali eventi collaterali del programma Art&the City.
Al centro della sala la grande installazione «Riapparizione della Vergine», rielaborazione attuale dell’opera «Apparizione della Vergine», datata 1995 ed entrata nel 2002 nelle collezioni civiche. Frammenti di riproduzioni di opere d’arte di tutte le epoche sono sparse per terra, «a suggerire, racconta Paolini, l’orizzonte sterminato di cui si nutre l’immaginazione», attorno alla macchia di inchiostro blu che dà origine all’opera. «La macchia è la citazione di una geniale intuizione di Picabia, che nel 1930 ha avuto il coraggio di definirla opera d’arte e di intitolarla alla Santa Vergine, consegnandoci così tutta la straordinaria potenzialità di qualcosa, che di per sé non è niente ma che contiene tutto. Ed è stata un’intuizione grandiosa perché non c’è niente di più verginale e intoccato di una macchia d’inchiostro». Autoironicamente Paolini si definisce «insopportabilmente soggettivo ed ermetico», giustificandosi con l’idea di volere ogni volta «frantumare questa identità e illustrare il contesto delicato in cui l’immaginazione può esercitarsi».
Come la macchia si offre nuda nella sua spoglia essenzialità, così su di lei pende la custodia vuota di un violoncello che, in assenza dello strumento, si carica di riferimenti. È ancora l’assenza che è capace appunto di donare all’opera la sua forza, facendo ritornare il pensiero a quel sentimento di sottrazione di cui spiegava l’artista in relazione alla sua vocazione. Il titolo della mostra, che raccoglie nove installazioni, la maggior parte del 2023, viene dall’opera «Et in Arcadia ego», dove Paolini stesso si ritrae mentre osserva il tuffatore del famoso affresco di Paestum lanciarsi in una materia indefinita, un luogo della memoria.
«La frase appare in un’opera di Guercino poi ripresa da Poussin, spiega l’artista, incisa sulla pietra tombale di non si sa chi. Anche io fui in Arcadia, e non aggiunge altro, contenendo un monito per noi che esistiamo, espresso con estrema eleganza: le gioie e le delizie vissute non hanno consentito di continuare a goderne per sempre. Il tema che aleggia è la segretezza e inspiegabilità dell’arte, che non ha mai un ruolo né terapeutico, né istruttivo, è solo e semplicemente necessaria».

Una veduta dell’allestimento

Giulio Paolini con Germano Celant in una foto di Cesare Colombo. Cortesia della Galleria Minini