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Lidia Panzeri
Leggi i suoi articoliVenezia. Il fatto più allarmante, al di là del picco di 187 centimetri dell’acqua alta nella notte del 12 novembre, è che nei giorni successivi, venerdì 15 e domenica 17, si sia superata la quota di 150. Mai successo finora un susseguirsi di eventi in tempi così ravvicinati, e per di più con la persistenza per molte ore di questo livello.
L’emergenza che si fa quotidiana inquieta nel profondo sulle cause attuali e di medio e lungo periodo che l’hanno provocata. La città, comprese le categorie più danneggiate (come i gestori dei negozi e della ristorazione per non parlare dei tanti operatori in ambito culturale ed ecclesiastico), ha reagito con tempismo. Perfino con un po’ di ottimismo, tutto incentrato sulle speranze nel Mose, il progetto di difesa delle dighe mobili nei tre punti di accesso del mare nella laguna: l’eterna incompiuta, priva di un cronoprogramma certo e che già presenta criticità quale le cerniere e parti delle pareti arrugginite dalla salsedine.
Si è cercato di rimediare con la nomina a commissario ad hoc di Elisabetta Spitz, fatto che ha sollevato qualche obiezione da parte di Italia Nostra. Prossima deadline è dicembre 2021. Ammesso che ci si riesca, rimangano comunque da affrontare due altri autunni di piogge.
Altro problema non più rinviabile è il dissesto ambientale dell’intera laguna, isole comprese. C’è da ricostruire tutta la morfologia gravemente modificata da continue erosioni dovute principalmente agli scavi dei rii. Ma già si ipotizzano nuovi scavi come quello del Canale delle Trezze, che dovrebbe convogliare le grandi navi per deviarne il percorso verso San Marco.
Del resto il Canale dei Petroli, con la sua forza erosiva, fu completato nel 1971, cioè appena dopo l’acqua alta del 1966. Tutto questo a prescindere dal dato oggettivo della subsidenza. Quanto ai danni, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro li quantifica intorno a un miliardo. Per ora il Governo ha stanziato 20 milioni.
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