Emanuela Pezzetta
Leggi i suoi articoliL’antologica si suddivide in sezioni che parlano della qualità artistica della fotografa e del suo impegno politico
«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente, sorella». Con queste parole si apre la poesia che Pablo Neruda compose nel 1942 dopo la scomparsa di Tina Modotti (Udine, 1896 - Città del Messico, 1942), ripresa dal titolo «Tina Modotti: la nuova rosa. Arte, storia e nuova umanità» per la rassegna aperta fino al 28 febbraio presso il Museo di Arte moderna e contemporanea Casa Cavazzini realizzata dai Civici Musei udinesi e dal Comitato Tina Modotti.
L’antologica si suddivide in sezioni che parlano della qualità artistica della fotografa e del suo impegno politico. A esse sono affiancate le ricostruzioni del contesto storico (il Rinascimento messicano, l’antifascismo internazionale, i Fronti popolari, la guerra di Spagna).
La mostra inizia dall’ambiente familiare e sociale friulano del primo Novecento e passa all’emigrazione della Modotti nel 1913 a San Francisco e nel 1918 a Los Angeles, dove fece l’attrice a Hollywood e si avvicinò a intellettuali e artisti.
Seguono il trasferimento in Messico nel 1923 con Edward Weston, suo compagno che la iniziò alla fotografia, e la militanza politica nel Soccorso Operaio Internazionale. In questo periodo la Modotti maturò un suo proprio linguaggio, che prendeva spunto dal realismo oggettivo di Weston per comunicare sentimenti estremamente umani, facendo sorgere nell’osservatore una spontanea empatia con l’oggetto fotografato. Così accade nelle celebri nature morte, nella calla fotografata con le sue rugose imperfezioni che comunicano il deperimento dell’oggetto.
Convinta delle forti capacità del mezzo fotografico davanti all’oggetto da rappresentare, la Modotti utilizzò la fotografia per le sue battaglie ideologiche e politiche, ottenendo immagini anche fortemente simboliche, come quelle che raccontano la lotta delle popolazioni indigene messicane attraverso le mani sporche di terra di lavoratori al riposo o i volti imperiosi delle donne indie (nella foto, «Falce pannocchia e cartuccera», Messico 1927). Le tappe successive della rassegna affrontano gli anni Trenta trascorsi in Europa tra Mosca, Berlino e Parigi, quando il suo attivismo politico prese il sopravvento sull’attività artistica. Infine, il ritorno in Messico e il prematuro decesso nel 1942.
La rassegna espone documenti, molti inediti del lascito a un archivio privato della sorella Jolanda Modotti e le 18 fotografie dell’Instituto Nacional del Antropología e Historia di Città del Messico.