Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Massimiliano Capella
Leggi i suoi articoliUn percorso con installazioni scenografiche dal forte impatto visivo ripercorre la storia dalla maison Missoni, con un occhio di riguardo al processo creativo compiuto in oltre sessant’anni della sua gloriosa storia. «Missoni, l’arte, il colore», allestita dal 19 aprile all’8 novembre al MA*GA di Gallarate (Va), celebra il lavoro compiuto dai fondatori del mondo Missoni, Ottavio (1921-2013) e Rosita (1932), su luce, colore, materia e ricerca artistica, aspetto, quest’ultimo, messo particolarmente in evidenza dai curatori Luciano Caramel e Emma Zanella. La mostra dedica infatti grande attenzione al dialogo tra le creazioni Missoni e l’arte e il design europei del ’900, che ha contraddistinto le scelte stilistiche della maison fin dal suo esordio nel 1953. Un sodalizio di coppia quello dei Missoni che, dopo aver avviato un’attività di maglieria, è divenuto dalla metà degli anni Sessanta un esempio di avanguardia della moda italiana e internazionale, grazie soprattutto all’invenzione di un inconfondibile modo di vestire e di abitare lo spazio caratterizzato dalla riconoscibilità del colore, dei motivi zigzag, righe, onde e fili fiammati, a cui si aggiungono i celebri patchwork di jacquard geometrici e floreali che nel corso degli anni hanno popolato maglie, tessuti, arredi, accessori e arazzi. Le scelte grafiche, cromatiche e formali che Missoni «riversava» nei tessuti traggono ispirazione dalle opere di artisti europei quali Giacomo Balla, Sonia e Robert Delaunay, Fortunato Depero, Lucio Fontana, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Piet Mondrian, Enrico Prampolini, Gino Severini, Luigi Veronesi e Bruno Munari. Ma è all’incontro con Balthus, che riconobbe al loro lavoro una valenza artistica, che Missoni attribuiva un significato particolare: «Quando un giorno andai (...) a trovare il pittore Balthus, (...) questi mi presentò ai suoi ospiti “seriamente” come il Maestro Missoni. Aveva avuto in dono un mio pullover e in cambio volle regalarmi due splendide tavolozze con dedica sul retro: “A Ottavio e Rosita Missoni, maestri del colore, con gratitudine”, firmato Balthasar Klossowski, e riferendosi al nostro lavoro mi disse: “Sono un po’ sordo, ma i colori li vedo benissimo». Protagonista della mostra è quindi l’arte contemporanea, ben rappresentata nelle sue ultime tendenze anche da una videoinstallazione del turco Ali Kazma che, nella sezione «Casa di moda», rilegge lo stile di Missoni Home Collection entrando nel loro mondo, mettendo a fuoco l’approccio dei Missoni con tutto il ciclo produttivo aziendale ed evidenziando un felice connubio tra sapienza artigianale e ricerca del design più avanzato. Conclude la mostra un raffronto tra studi sul colore, opere pittoriche e arazzi da lui ideati e i lavori di alcuni artisti italiani come Mario Ballocco, Gianni Bertini, Giuseppe Capogrossi, Roberto Crippa, Nino Di Salvatore, Piero Dorazio, Achille Perilli, Tancredi, Emilio Vedova, Luigi Veronesi, Carla Accardi, Giovanni Anceschi, Alberto Biasi, Davide Boriani, Dadamaino, Giulio Turcato e Grazia Varisco. Abbiamo intervistato Luca Missoni, responsabile dell’Archivio Missoni e degli eventi espositivi della maison.
Che cosa differenzia questa mostra al MA*GA dalle numerose rassegne itineranti ideate e promosse negli anni passati?
È la prima volta che un museo d’arte contemporanea allestisce una mostra che ha come soggetto il lavoro artistico di Ottavio e Rosita Missoni. La mostra presenta Missoni come arte applicata alla moda. In questo progetto, che utilizza in gran parte le risorse del nostro archivio, abbiamo il compito di ideare gli allestimenti che occupano l’intera area espositiva del museo.
Da sempre Missoni dedica grande attenzione alla promozione culturale del brand. La moda può essere volano per la cultura e viceversa?
Vi sono già da molto tempo nel mondo diversi esempi di realtà museali dedicate alla storia del costume che oggi presentano la moda non trattandola solo come archivio storico, ma presentandola anche come fenomeno culturale contemporaneo. L’abbigliamento è in ogni caso un fatto di comunicazione e la moda è la sua avanguardia.
Le aziende di moda lavorano sempre guardando al futuro. Qual è allora il valore di un archivio ordinato e consultabile?
È molto difficile formare un proprio archivio mentre per natura si continua a guardare in avanti. Noi abbiamo cominciato seriamente a conservare i materiali quando, in occasione del 25esimo anniversario, ci siamo fermati a contemplare il lavoro fatto fino ad allora e ci siamo resi conto di quanto fosse ricco e complesso. Oggi il nostro archivio supporta in modo simbiotico sia la ricerca sia la comunicazione, oltre a mantenere relazioni culturali dirette con istituti e musei. In occasione del 60esimo anniversario siamo arrivati ad avere gran parte dell’archivio consultabile digitalmente, un lavoro oneroso e complesso ma reso necessario soprattutto dalla quantità e varietà dei materiali che conserviamo: abiti, tessuti, disegni, fotografie ed editoriali. In questa mostra sono esposti pannelli contenenti campioni di maglia che avevo montato tra il 1981 e l’83 per presentare le collezioni ai clienti e che da più di trent’anni vengono conservati nei magazzini del nostro archivio.

«Arazzo» (1987-88) di Ottavio Missoni

«Senza Titolo» (1972)

«Ritmo» (1933) di Osvaldo Licini. Courtesy Museo Villa Croce (Ge)

«Ballerina» (1957 ca) di Gino Severini.
Altri articoli dell'autore
Nel 1980 Roberto Capucci decide di presentare le sue creazioni solo nei musei: l’abito diventa pittoscultura degna della Biennale di Venezia