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«AUTO» (1972), di Blinky Palermo, Colonia, Museum Ludwig. © VG Bild-Kunst, Bonn, 2019 Photo/ Rheinisches Bildarchiv, Colonia

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«AUTO» (1972), di Blinky Palermo, Colonia, Museum Ludwig. © VG Bild-Kunst, Bonn, 2019 Photo/ Rheinisches Bildarchiv, Colonia

Palermo in Germania

Le edizioni d’artista di Blinky donate al Museum Ludwig

Francesca Petretto

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Colonia. Grazie a una donazione del collezionista Ulrich Reininghaus il Museum Ludwig possiede dal 2018 le Edizioni d’artista complete di Blinky Palermo, al secolo Peter Heisterkamp (1943-77), l’enfant terrible allievo di Joseph Beuys, compagno di studi di Gerhard Richter, Sigmar Polke e molti altri importanti nomi dell’arte tedesca del dopoguerra, prematuramente scomparso in circostanze da molti ancora oggi ritenute misteriose. Dal 18 gennaio la nuova collezione verrà presentata per la prima volta al pubblico nella mostra «Blinky Palermo: The Complete Editions. La donazione di Ulrich Reininghaus» (fino al 3 maggio). Ne abbiamo intervistato la curatrice, Julia Friedrich.

Che cosa ci racconta di nuovo sull’arte di Blinky Palermo la mostra da lei curata per il Museum Ludwig?

Moltissimo! Prendiamo in considerazione anche solo un aspetto: Blinky Palermo è famoso per i suoi dipinti murali che cambiano gli spazi con l’utilizzo di strumenti molto economici. L’aspetto tragico e al contempo attraente di tali opere è che possono essere efficaci solo per un breve lasso di tempo, perché le pareti dopo la mostra vengono ridipinte. Nelle Edizioni a cui questa mostra è dedicata Palermo ha trovato il modo per far ricordare quelle mostre, creando al tempo stesso un’opera nuova e visivamente affascinante.

Come si è avvicinata a Blinky Palermo e che cosa la affascina o l’ha affascinata maggiormente della sua figura e produzione?
Palermo morì improvvisamente all’età di soli 34 anni. Appartiene a quel tipo di artisti capaci di realizzare in un breve periodo di tempo un’opera tanto versatile quanto condensata. Di conseguenza ha sempre lavorato per riuscire ad allargare i confini dell’immagine in quadri, oggetti e disegni murali in cui utilizzava tessuti e metalli. Dal 1966, cioè nei suoi dieci anni più produttivi, ha elaborato per le Edizioni tutti quei gruppi di opere. Con questa esposizione possiamo quindi seguire complessivamente le tracce della sua evoluzione. Vediamo i suoi «Triangoli blu», i suoi «Flipper», le sue opere murali e le «Miniature».

Lo trova attuale ancora oggi, con la sua aura d’incompiuto o piuttosto relegato in un tempo lontano dal nostro?

Le opere di Palermo puntano sempre sul momento. Non possono mai essere inattuali, superate. I suoi colori brillano come 50 anni fa, i suoi motivi e segni sono ancora gli stessi del primo giorno. Bisognerebbe capovolgere la domanda: come fa ancora oggi a esercitare un così grande fascino, ad esempio, sul pubblico più giovane? Penso sia dovuto a ciò che lei chiama «aura d’incompiuto», al fatto che le sue opere sembrano dispiegare un’aura negandola al tempo stesso. Vendette «Il Triangolo blu» come modello per l’autopittura, eppure proprio come il «Quadrato nero» di Malevič nel 1913, una volta realizzato è in grado di sviluppare una trascendenza.

Ha un pezzo che predilige fra quelli della collezione in mostra? E può spiegarcene il motivo?

Amo le collaborazioni di Palermo con i suoi amici artisti: dimostrano che non era affatto il cavaliere solitario di cui si fantastica (il tipo a cui vengono ridotti di solito i personaggi eccezionalmente dotati). Prenda l’esempio del «Telefono giallo» realizzato con Gerhard Richter: Palermo ha creato lo sfondo giallo brillante, Richter le due foto sfocate; i due contributi non potrebbero essere più contraddittori e distanti, eppure è in questo loro contrasto che sta la vera tensione.

Francesca Petretto, 17 gennaio 2020 | © Riproduzione riservata

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