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Chiara Coronelli
Leggi i suoi articoli«Esaurite tutte le possibilità, nel momento in cui il cerchio si chiudeva su se stesso, Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli restava, anzi la vera via che lui aveva oscuramente cercato fino allora». Si chiude così «L’avventura di un fotografo», scritto da Italo Calvino nel 1970, e ultimo dei Racconti dalla camera oscura, la raccolta a cura di Walter Guadagnini, appena pubblicata da Skira. Partendo dall’evidenza del legame tra fotografia e letteratura, che comincia subito dopo il 1839, il libro presenta una ricognizione di testi nei quali «la fotografia e il fotografo, si legge nella prefazione, diventano anche soggetti nuovi all’interno delle opere letterarie, possono fornire una materia prima, totalmente inedita, agli scrittori».
Attraverso dodici tra opere ed estratti, da «La casa dei sette abbaini» di Nathaniel Hawthorne, del 1851, fino a Calvino, il curatore rintraccia l’incursione della fotografia nella produzione letteraria. L’antologia si apre con il dagherrotipista Holgrave, del romanzo di Hawthorne, che incarna la magia illusionistica del processo fotografico; mentre ne «La mia arte perduta», M.D. Conway affida al protagonista il compito di veicolare uno dei grandi paradossi della fotografia, quello di essere tanto un prodotto della scienza, capace di restituire la realtà, quanto pratica alchemica. Si prosegue con il valore documentario che le viene attribuito nella novella di Guy de Maupassant, per arrivare ad ammetterne l’ambiguità interpretativa nei brani di Thomas Hardy e Pirandello, dove il ritratto diventa la persona stessa, sostituendone la presenza a tutti gli effetti. Man mano che ci si addentra nel XX secolo, il rapporto si intensifica e diventa terreno per sviluppi futuri, come è il caso di Marcel Proust dal quale prende il via un «pensiero laterale sulla fotografia» che toccherà anche Roland Barthes. Per i decenni dopo il 1940, nutriti di Surrealismo, si trovano L’invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares e «Le bave del diavolo» di Julio Cortázar, che pochi anni dopo diventa il soggetto di «Blow Up». «Tour de force geniali sui concetti di tempo, spazio, realtà, finzione, questi racconti accompagnano le riflessioni di una serie di fotografi attivi negli anni Sessanta e Settanta, scrive Guadagnini.Riflessioni e pratica che sono poi passati alla storia con il termine di fotografia concettuale», quella che Calvino annuncia lucidamente e con la quale si avvia «un ben più complesso processo di revisione del rapporto tra fotografia e mondo esterno», oggi meno che mai esaurito.
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