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Giusi Diana
Leggi i suoi articoliPer la sua quarta personale nella Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Loredana Longo presenta una grande installazione site specific giocata su un’opposizione semantica ed estetica. Cifra tipica dell’opera dell’artista è l’estetica della distruzione, che da un piano domestico e familiare dei primi lavori si è spostata negli ultimi anni su un piano universale di diritti violati.
Il titolo della mostra «Victory» pone immediatamente al centro una coppia di opposti: vittoria e sconfitta. «La vittoria di qualcuno, spiega Longo, è sempre la sconfitta di qualcun altro. Dietro una vittoria c’è sempre dolore… qualcuno che ha sofferto per essa». Immagini di cronaca sui conflitti in corso prese dai media sono impresse a fuoco su drappi di velluto, con un processo alchemico che tende alla purificazione, quasi un rito consumato lentamente alla fiamma di un saldatore elettrico.
Sono immagini di distruzioni in forma di paesaggio dai titoli dolenti come «Aleppo», «Palmira» e «Melilla», sulle quali campeggia beffarda la parola «Victory», anch’essa una bruciatura su velluto, terribile come le torture inflitte sulla pelle degli sconfitti. Al centro della galleria una cella invalicabile ricavata da séparé è ricoperta all’interno da una carta da parati dorata, che riporta come pattern decorativo la parola «Sorry» declinata in forma di arabesco. Potenti le sculture in marmo dove la parola «Victory» è prima colpita con violenza e poi riassemblata con un atto, ancora una volta, catartico e dolente.
Visitabile fino al 22 giugno e curata da Valentina Bruschi, la mostra è accompagnata da un catalogo con un testo della curatrice e un saggio su alcuni dei conflitti in corso intitolato La ragione per sola vittoria e scritto dalla giornalista franco-marocchina Zineb El Rhazoui.
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