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I primi anni di Diane Arbus

Viviana Bucarelli

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Diane Arbus (1923-71), poetessa dell’inconsueto, dell’estremo, dell’eccessivo e del fuori dal comune, fu attratta dalla fotografia fin da giovanissima e cominciò i primi esperimenti a 18 anni, quando ricevette in regalo una macchina fotografica dall’altrettanto giovanissimo marito

Iniziò la sua carriera di fotografa professionista a metà degli anni Cinquanta, ma la sua produzione di questi anni non è pressoché mai stata esposta. Ora, dal 12 luglio al 27 novembre con «Diane Arbus: in the beginning» il Metropolitan presenta questa preziosa fase: in esposizione nel Met Breuer fresco di inaugurazione oltre 100 fotografie scattate tra il 1956 e il 1962, i primi sette anni della carriera. Due terzi delle opere in mostra sono inedite e rivelano il talento unico e originale della loro autrice.

La freschezza e incantevole spontaneità di una bambina in camicia da notte con i capelli spettinati, la bizzarria dello spettacolo di un mangiatore di fuoco di un circo, l’espressione intensa di una anziana signora con gli occhi socchiusi tra i passanti e le luci del traffico cittadino sono alcuni dei ritratti di questi anni che si imprimono in maniera indelebile nella memoria dello spettatore. In questi anni, la Arbus elabora il suo stile, rigorosamente in bianco e nero, adorato e molto controverso, specie al suo tempo, in cui il bizzarro diventa la normalità e viceversa; in cui coloro che vivono e lavorano ai margini della società, soggetti affetti da gigantismo e nani, transgender, spogliarelliste e prostituti, sono spesso metafore della sua stessa fragilità e del suo stesso animo tormentato e sofferente.

La Arbus nasce come fotografa della grandissima tradizione di «street photography» degli Stati Uniti di quegli anni. Studia con Berenice Abbott e Lisette Model ed espone insieme a Gary Winogrand e Lee Friedlander. Ma, a differenza dei suoi maestri e contemporanei che ambivano a «scomparire» per catturare con la maggiore naturalezza possibile i propri soggetti, lei cerca un’interazione diretta e intensa con loro. Come ha scritto Sandra Phillips in The Question of Belief Arbus intendeva il rapporto tra fotografo e soggetto come un incontro e una vera e propria «collaborazione». Aveva un interesse e una curiosità genuina per le persone e loro venivano ugualmente attratte da lei. «Per me il soggetto delle mie fotografie è sempre più importante che la fotografia stessa. Ed è più complicato…» disse. Complicato, imperfetto, fragile, ordinario ed esotico è il mondo sotto lo scrutinio dell’artista. Scrisse di lei John Szarkowski: aveva lo «sguardo di un’onestà disarmante propria solo degli animi più generosi». 

Viviana Bucarelli, 10 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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