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Riccardo Garolla, Dario Trento, china su carta, 2015

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Riccardo Garolla, Dario Trento, china su carta, 2015

Addio a un generoso Aussenseiter

Dario Trento è scomparso il 31 agosto. Lo ricorda Sandro Scarrocchia

Redazione GDA

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Milano. Il 31 agosto si è spento, dopo un lungo strazio durato oltre due anni, Dario Trento. All’Accademia di Brera nell’aula magna è stata composta la camera ardente. Silenziosa, senza orazioni funebri ufficiali, anche per rispetto del suo stile essenziale, frugale, schietto. E lì, per la partecipazione ampia e sentita si è capito bene tutto il peso della perdita, come hanno testimoniato coloro che non ce l’hanno fatta a sopportare il silenzio, deponendo le parole che sgorgavano dal cuore. Accanto ai fiori.
Ma per rendersi conto dell’uomo bisognava portarsi alle esequie, che si son svolte a Sommacampagna (la città in cui era nato 62 anni fa, Ndr). Nella parrocchiale di Sant’Andrea c’era tutto il paese ad aspettarlo: la sindaca, Graziella Manzato, ha ricordato come anche in condizioni di salute precarie non fosse venuto meno al suo ruolo propositivo, annunciando l’impegno a realizzare un suo progetto artistico in collaborazione con l’associazionismo locale. Poi l’addio commosso al piccolo cimitero, con i due fratelli stretti intorno alla madre in sedia a rotelle, i familiari e gli amici. Tanti.
Storico e critico d’arte originale e sensibile apparteneva alla schiera degli aussenseiter, i cercatori di vie poco battute, dimenticate, nascoste. E dei comunisti dello spirito libero, i fabbricieri per i quali vita e ricerca non si possono disgiungere.
Grande studioso dell’arte medievale e rinascimentale, in particolare di Cennini, Pontormo e Luini, sapeva coniugare lo studio dell’antico con l’apprezzamento delle multiformi espressioni del contemporaneo. Onnivoro ma non bulimico quanto a interessi (i luoghi, la Milano neoclassica e industriale soprattutto, ma anche i Sacri Monti; la Certosa di Pavia, il patrimonio dell’Accademia e della Pinacoteca di Brera, solo per accennare a qualcuno dei suoi ambiti di ricerca); dal baricentro ampio, a comprendere i rapporti tra arte e letteratura, in Palazzeschi, De Pisis, Pasolini, Arcangeli e Fossati.
Non lascia nessuna opera in sé conclusa, ma un’officina fatta di contributi generosi, proposte aperte e originali, la cui ricostruzione non sarà certo facile da delineare ma costituirà uno dei compiti ineludibili per la storia e la critica d’arte.
Dario Trento aveva scelto Brera come la sua Accademia e Milano come la sua città, entrambe elettive dunque. Gli ultimi interventi, compilati nel suo stile asciutto e preciso, che si vogliono ricordare non certo per completare una bio-bibliografia vasta e complessa, ma come tracce di una presenza tenace e combattiva, testimoniano ancora una volta l’ampio raggio di visione: la intelligente mostra del 2010 sulla ricezione artistica del Cenacolo leonardesco (Il Cenacolo in Accademia. Artisti a confronto); la puntuale ricostruzione della separazione della Pinacoteca dall’Accademia di Brera al convegno Per Brera sito Unesco del 2012; la giornata di studi del 2013 dedicata a Beppe Devalle (L’arte è violenta come la vita) foriera di ulteriori sviluppi in corso; l’assaggio simpatetico sul metodo fossatiano nell’antologia dedicata appena apparsa (L’intellettuale mal temperato); la richiesta al Consiglio Accademico di Brera di ricostituzione del glorioso Istituto di Storia dell’Arte; la ricostruzione magistrale del restauro dell’altare di Donatello nel Sant’Antonio di Padova in occasione del Centenario Boitiano; una «verifica complessiva» (sono parole sue) del percorso artistico di Antonio Violetta a partire dalla sua ultima mostra riminese (AV 15 sculture 2012-2014), datata 15 giugno, forse il suo ultimo scritto. Ma. Nella congerie due tavoli da lavoro vanno salvaguardati, scongiurando la frammentazione toccata all’Archivio Sacchi tra Sesto San Govanni e Triennale, anzi tre.
Il primo riguarda le Collezioni Storiche di Brera, da lunghi anni oggetto di studio e inventariazione ad opera di un drappello di studiosi di primordine, di cui Dario era parte integrante, ma da salvaguardare nella loro interezza e contraddittoria integrità come «patrimonio», cioè fondamento dell’Accademia.
Il secondo riguarda l’arte lombarda rinascimentale, alla quale dedicava speciale attenzione oltre che in mirate iniziative esterne soprattutto nel suo insegnamento e che, quindi, rimane una costante del suo impegno braidense.
Last but not least il Fondo Frizzoni che da anni stava inventariando. Si tratta di un incunabolo che interseca con la sua rete di rimandi i capisaldi della storia dell’arte italiana e le implicazioni internazionali di questa. Qui il custode del patrimonio e connoisseur si ricongiungeva allo storico e critico d’arte, in un originale magistero, incompiuto ma indubbio. Spetta ora all’Accademia di Brera onorarne la lezione.
(Nella foto: Riccardo Garolla, «Dario Trento», china su carta, 2015).


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Redazione GDA, 22 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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