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Zanfirico e murrine: la fucina Paolo Venini

Lidia Panzeri

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«Questa quinta edizione delle “Stanze del Vetro” registra una novità: non una monografica dedicata a un singolo maestro, ma l’intera attività della fornace di Paolo Venini, dagli inizi degli anni ’50 fino alla sua morte nel 1959. Venini non era un designer né un artista  e neppure nativo di Murano, ma un uomo di cultura, dotato di sicuro buon gusto, che amava viaggiare». Così Marino Barovier, curatore della mostra «Paolo Venini e la sua fornace» all’Isola di San Giorgio dall’11 settembre all’8 gennaio, presenta la rassegna organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini e da Pentagram Stiftung.

In tutto sono esposte 300 opere, abbinate a un catalogo Skira. Sfilano autori di rilevanza internazionale: dalla svedese Tyra Lundgren, con il suo bestiario, allo statunitense Ken Scott con i suoi pesci e, tra gli italiani, Giò Ponti, con le sue caraffe, Massimo Vignelli con il suo campionario di lampadari e Tobia Scarpa con i suoi vasi asimmetrici e satinati. Venini innovava nel solco della tradizione, scoprendo le tecniche antiche come quella dello zanfirico, rinnovata tra il 1950 e il 1954, nella sua versione in vetro lattimo o in quella colorata, perlopiù monocroma: interprete d’eccezione di questa tecnica, lo statunitense Charles Lin Tissot. Altra rivisitazione rilevante è quella della murrina, un tessuto vitreo con effetto mosaico e, come questo, scintillante di colori.

Lidia Panzeri, 08 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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