Telemaco Signorini «Giovani pescatori» 1860-1861 circa. Foto: Galleria Berman

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Telemaco Signorini «Giovani pescatori» 1860-1861 circa. Foto: Galleria Berman

Una macchia indelebile

Alla Gam, forte della sua collezione, oltre 80 opere per una mostra sulla storia dei Macchiaioli

Sono passati poco più di due lustri dalla fortunata mostra torinese di Palazzo Bricherasio (2006) e molte altre esposizioni dedicate ai Macchiaioli da allora si sono susseguite in città italiane, europee e non solo (Roma 2007, Tokyo 2010, Parigi 2013, Madrid 2013, Roma 2016), apportando contributi significativi alla conoscenza del movimento pittorico toscano la cui importanza a livello europeo è nota e storicamente riconosciuta. Senza che tutta questa attività ne abbia minimamente esaurito però la complessa vicenda storica o abbia ancor meno stancato il grande pubblico.

La realtà è che i Macchiaioli fanno parte del nostro Dna culturale e non c’è evento a loro dedicato che non desti interesse. L’odierna mostra presso la Galleria Civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, «I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità», organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, Gam Torino e 24 Ore Cultura - Gruppo 24 ORE, a cura di Cristina Acidini e Virginia Bertone, con il coordinamento tecnico-scientifico di Silvestra Bietoletti e Francesca Petrucci e la collaborazione dell’Istituto Matteucci, presenta un percorso di oltre 80 opere attraverso le quali si racconta la storia del movimento toscano dalle origini al 1870, data che segna la dispersione del gruppo per i trasferimenti di taluni (Boldini, Zandomeneghi, D’Ancona, De Tivoli), la malattia morale di Lega e le premature scomparse di Abbati e Sernesi. Firenze fu la culla del movimento macchiaiolo.

I giovani progressisti non erano però tutti fiorentini (era veronese Cabianca, Fattori e De Tivoli livornesi, romagnolo era Silvestro Lega, pesarese Vito D’Ancona, napoletano Beppe Abbati), ma nella città toscana, la cui realtà storica, artistica e urbanistica emerge suggestiva nel racconto di Cristina Acidini, insieme trovarono quei riferimenti culturali necessari alla maturazione della loro rivoluzionaria visione dell’arte. La mostra evoca la formazione accademica intrisa di Romanticismo e di Purismo dei futuri esponenti del movimento presentandone le opere insieme a quelle di Bezzuoli, Ciseri,  Pollastrini e Mussini, dei quali furono allievi durante la loro formazione.

A partire dal 1855 tuttavia i futuri Macchiaioli fecero ingresso nello storico Caffè Michelangiolo e lì iniziarono a dibattere sulla necessità di rinnovare i contenuti dell’arte moderna, individuando nella pittura di paesaggio, che allora trionfava all’Esposizione Universale di Parigi con i maestri di Barbizon e Corot grazie al loro modo di dipingere dal vero la natura con sentimento moderno, il genere da prediligere; il quotidiano rapporto con la grande pittura del Rinascimento, la riscoperta della forza del colore e delle potenzialità espressive del «macchiare», ossia della tecnica di abbozzare dal vero un soggetto senza ricorrere al disegno, così come faceva il grande Tiziano, fornirono a quei giovani talentuosi l’input per il rinnovamento tecnico dei loro mezzi espressivi; infine il bisogno di dar voce al sentimento del tempo loro contemporaneo (in linea con le istanze del Positivismo) completava una miscela detonante pronta a esplodere come in effetti esplose, nel 1859, quando gli avvenimenti drammatici della seconda Guerra d’Indipendenza fecero irruzione nelle singole vite di quei giovani patrioti, stanando le diatribe artistiche dal chiuso del Caffè Michelangiolo e riversandole nei campi di battaglia dove si compiva il destino nazionale e la realtà si faceva Storia.

Quando tutto fu compiuto, i Macchiaioli tornarono alle loro questioni artistiche con obiettivi assai più chiari, dovendo essi ora contribuire e fors’anche guidare la nascita di un’arte nazionale. Di qui la ricerca di un dialogo costruttivo con altre compagini artistiche della Penisola; per questo il riferirsi a Torino, capitale del neonato Stato italiano, divenne per loro inevitabile. Fu Torino (e non Firenze) a far «mussare» infatti la notorietà dei Macchiaioli agli inizi del loro percorso e quando il primo maggio 1861 si aprì nel Palazzo dell’Accademia Albertina l’annuale esposizione della Società Promotrice, i nomi di Signorini e Cabianca, sussurrati di bocca in bocca, attrassero l’ammirato sostegno di pittori come Pittara, Bertea, Pastoris e D’Andrade (Avondo e Raymond già prendevano parte alle riunioni del Caffè Michelangiolo).

In quella stessa occasione i toscani conobbero da vicino l’arte di Fontanesi, paesista dotato di un particolare sentimento della natura; un incontro destinato a influire sull’evoluzione della «macchia», come suggerisce Virginia Bertone nel suo intervento in catalogo, in ragione del quale gli studi dovranno forse rivalutare con attenzione il ruolo di mentore fin qui attribuito al solo Nino Costa. Uno dei punti di forza di questa odierna raffinata esposizione è poter restituire, grazie alla prestigiosa collezione della Galleria d’arte moderna di Torino, fondata nel 1863 nel fervore di Torino capitale, la tessitura del fondamentale dialogo tra la pittura macchiaiola e le personalità di Fontanesi, degli artisti piemontesi della Scuola di Rivara e dei liguri della Scuola dei Grigi.
 

Telemaco Signorini «Giovani pescatori» 1860-1861 circa. Foto: Galleria Berman

Francesca Dini, 25 ottobre 2018 | © Riproduzione riservata

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