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Wolfgang Tillmans, Truth study, 2007

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Wolfgang Tillmans, Truth study, 2007

Tillmans, la fotografia è vulnerabile

Chiara Coronelli

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Göteborg (Svezia). Nel 2000 vinceva il Turner Price, primo fotografo ad aggiudicarselo. Quindici anni dopo, Wolfgang Tillmans si porta a casa l’Hasselblad Award in Photographyche, dopo l’annuncio dell’assegnazione lo scorso marzo, gli è stato consegnato la sera del 30 novembre al Gothenburg Museum of Art. Come ad ogni vincitore, la Fondazione svedese dedica una grande personale, ospitata negli spazi dell’Hasselblad Center (fino al 14 febbraio). Secondo le curatrici Dragana Vujanovic e Louise Wolthers, «Tillmans prosegue e sviluppa la tradizione della fotografia socialmente impegnata, cosa che caratterizza molti dei precedenti vincitori. Ciò che rende unico il suo lavoro è il riferimento alle realtà e alle prospettive di un mondo osservato in ogni cosa, dalla più semplice, come i fatti di ogni giorno, ai drammatici cambiamenti su scala globale». Unico è anche l’allestimento delle sue mostre, vere e proprie installazioni. Non esiste una gerarchia suggerita a priori per muoversi tra le immagini: la varietà dei supporti, dei materiali, delle dimensioni, dei soggetti, che vanno dal figurativo all’astrazione, e delle tecniche, con predilezione per la stampa a getto d’inchiostro, oltre a esplorare il rapporto tra casualità e controllo, ci riporta all’esigenza primaria, più volte dichiarata, di un «utilizzo della fotografia nell’investigazione di ciò che significa osservare».
La rassegna, che include anche la serie «truth study center», una serie di studi che proseguono dal 2005 come parte integrante delle sue mostre, e il video «Printing Press Heidelberg Speedmaster XL – Real Time Total Eclipse Nightfall and Exit», segue un allestimento che diventa vero e proprio laboratorio di sperimentazione, dove Tillmans chiama in primis lo spettatore a interrogare il proprio sguardo. «La maggior parte delle persone, ha detto in un’intervista, pensa che la fotografia consista in quello che è rappresentato, per me questo è senz’altro importante, ma il come è la vera questione». Dal paesaggio al particolare, dai fenomeni naturali all’ordinarietà dimessa del quotidiano, dalle questioni politiche all’insignificanza dei dettagli della figura umana, tutto scorre nelle inquadrature incorniciate o stampate al vivo e appese semplicemente al muro, gigantesche o ridotte, in fotocopia come in stampa analogica, su carta opaca o lucida. «Ho sempre pensato, prosegue, he le fotografie fossero oggetti, che non si trattasse solo di immagini, ma di immagini dotate di un corpo».
Da questa sorta di incarnazione deriva il pensiero centrale della sua arte, l’idea della vulnerabilità delle fotografie, che lui continua a sottolineare nel suo lavoro, nel rimandare la loro impermanenza alla condizione umana, convinto che «mostrare la loro vulnerabilità ci protegga dal dispiacere di vederle svanire». Si intitola Wolfgang Tillmans: What’s wrong with redistribution? il volume pubblicato per l’occasione occasione da Walther König.

Wolfgang Tillmans, Young Man, Jeddah (B) (2012)

Wolfgang Tillmans, Arms and legs, 2014

Wolfgang Tillmans, still life, Calle Real II, 2014

Wolfgang Tillmans, Iguazu, 2010. Foto (C) Wolfgang Tillmans

Wolfgang Tillmans, Truth study, 2007

Chiara Coronelli, 04 dicembre 2015 | © Riproduzione riservata

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