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Shafei Xia, Rain, 2025, acquarello su carta di sandalo intelata

Foto: C.Favero. Courtesy l'artista e P420

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Shafei Xia, Rain, 2025, acquarello su carta di sandalo intelata

Foto: C.Favero. Courtesy l'artista e P420

Shafei Xia e la poesia dell’istinto

 Tra i protagonisti della Quadriennale d’Arte «Fantastica», l’artista racconta le radici e la visionaria delicatezza della sua poetica

Giorgia Aprosio

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La ricerca di Shafei Xia (nata a Shaoxing, Cina, nel 1989; vive e lavora in Italia) si muove tra pittura e ceramica, in un equilibrio sottile tra ironia e sensualità, disciplina e istinto. Radicata nella tradizione figurativa ed erotica orientale, la sua pratica rielabora con sguardo contemporaneo l’estetica degli shunga giapponesi e dei dipinti cinesi ottocenteschi. Donne, animali e oggetti quotidiani diventano figure allegoriche attraverso cui l’artista indaga il desiderio, la vulnerabilità e la tenerezza come forze vitali.

Le sue opere compongono un bestiario popolato da tigri, maiali, saltimbanchi e conigli bianchi, in cui i confini tra umano e animale, maschile e femminile, si dissolvono in favore di tipizzazioni comportamentali che trascendono la specie. Il risultato è una visione di umanità allargata, dove l’accettazione degli istinti e della natura di ciascuno diventa una forma di conoscenza che dischiude il tesoro più grande: la libertà.

Di recente il suo lavoro è stato presentato in occasione delle mostre Looking at Her, The Women’s Art Collection, Murray Edwards College, Cambridge (2025); 15 Years, P420, Bologna (2025); I Licked It, It’s Mine, Museum of Sex, New York (2024); The Infinite Woman, Fondation Carmignac, Hyères (2024); Embracing the Languages Given to Me, BACO, Bergamo (2024); Italia 70 – I nuovi mostri, Fondazione Trussardi, Milano (2024).
Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche tra cui GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo; Museum of Sex, New York; Women’s Art Collection, University of Cambridge; e ILHAM, Kuala Lumpur.

Attualmente è tra i protagonisti di Fantastica, 18ª Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma (2025). 
L’abbiamo incontrata per approfondire il suo percorso e la storia personale che hanno dato origine a una sensibilità unica, capace di unire istinto, ironia e grazia in un linguaggio profondamente umano.

Ricorda quando ha pensato per la prima volta che avrebbe potuto fare l’artista?
Stiamo partendo davvero dall’inizio. Mi sono laureata in scenografia in Cina e, dopo la laurea, mi sono trasferita a Shanghai. Lì lavoravo come barista in un caffè e, nel tempo libero, dipingevo. Non avevo un piano preciso - sapevo solo che non volevo restare nella mia città natale a fare un lavoro “rispettabile” ma noioso, come avrebbero voluto i miei genitori. Volevo vedere il mondo, e Shanghai era solo il punto di partenza. Quella città è stata la mia prima grande scuola: ho incontrato persone straordinarie, e quell’esperienza - tra lavoro e nuove amicizie - la considero ancora oggi la vera svolta della mia vita. Nei weekend giravo per la città con il mio triciclo a vendere i miei disegni per strada. La gente li guardava, li apprezzava, mi incoraggiava. È stato allora che ho pensato, per la prima volta, che forse potevo davvero diventare un’artista.

Ritratto fotografico di Shafei Xia. Courtesy l'artista

E la prima volta in cui ha pensato che non ce l’avrebbe fatta?
Dopo due anni come barista, e la consapevolezza di non avere nessuna passione per il mondo del caffè, mi sentivo fisicamente e mentalmente esausta. Passavo ore al bancone ma con la mente sempre altrove, concentrata sulla pittura. Così ho deciso di lasciare il lavoro e provare a vivere dei miei quadri. Non è stato facile. Per un periodo sono dovuta tornare a Shaoxing, dove ho lavorato come assistente al negozio online di intimo di mio cugino. Combinavo solo guai - credo fosse evidente anche a lui che quella non era la mia strada. Dopo circa sei mesi ho ricevuto una commissione per realizzare un’animazione bidimensionale per un progetto governativo, e sono tornata di corsa a Shanghai. L’ho preso come un segno del destino.

Perché poi l’Italia?
Vivevo in un ostello per giovani, un luogo pieno di energia. Conoscevo persone da tutto il mondo, mi lasciavo influenzare, incuriosire, contaminare. Un giorno ho visto Mangia, prega, ama e ho pensato: “Perché non studiare in Italia?”. Così, nel 2016, con l’aiuto di una cara amica, sono partita. I primi due anni non sono stati facili: tutto era confuso, indefinito. Ma la vita sa dare le sue risposte - e anche l’amore le sue. In quel periodo ho realizzato un dipinto con una donna-pesce senza corpo, a cui sono molto affezionata: al centro c’è una figura femminile ridotta a una lisca, ai lati due donne con corpo umano ma testa di pesce. È stato un altro punto di svolta. Forse, in quel momento, la mia anima ha risuonato con quella dei pesci, i nostri antenati.

Guardando indietro al suo percorso, quando crede di aver iniziato davvero a fare arte?
In realtà molto prima. Fin da bambina amavo disegnare e suonare. A scuola c’era un’atmosfera vivace: ogni settimana ci facevano imparare qualcosa di nuovo. Tra gli otto e i dieci anni prendevo lezioni di pianoforte e di pittura. Due cose che amo ancora molto, ma soprattutto amavo osservare: i miei compagni, gli insegnanti, la barca abbandonata davanti a casa, l’uccellino nella gabbia del vicino, il vapore caldo dei panini che usciva ogni mattina dalla bottega lungo la strada per la scuola. Quelle erano le mie prime lezioni d’arte, impartite direttamente dalla vita.

Qual è stata la sua prima vera opera?
Le prime opere che considero tali sono state un nudo e un autoritratto. All’inizio copiavo ad acquerello le fotografie di Nobuyoshi Araki, poi ho iniziato a dipingere me stessa davanti allo specchio, come Van Gogh. Ricordo di aver pubblicato quei lavori su WeChat mentre ero ancora in Cina, e che qualcuno mi lasciò un commento cattivo. Capii che in un contesto come quello non mi sarei mai sentita davvero libera.

Shafei Xia, Still Love, 2025, installazione in ceramica. 18ª Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma, 2025. Courtesy l'artista e P420

L’amore - inteso come forza, pulsione, desiderio, gelosia, violenza - è ora uno dei temi centrali della sua pittura. Come è arrivato nella sua opera?
Quando è arrivato l’amore nella vita, tutto il resto ha seguito. Cerco sempre nei miei lavori una tonalità ironica e malinconica allo stesso tempo, come uno scherzo che dietro il sorriso nasconde una verità. Anche se “cercare” forse è già un errore: quando si smette di cercare e ci si concentra sul presente, tutto si apre, tutto diventa chiaro.

La sua produzione si compone da una parte di opere bidimensionali, acquerellate su carta di sandalo stesa su tela, e dall’altra di ceramiche. Materiali e tecniche che mantengono viva l’eredità cinese nel suo lavoro. Oltre a questi aspetti, cosa crede rimanga delle sue origini?
La poesia, il taoismo e il buddhismo. Non fanno parte della mia quotidianità, ma li porto dentro, come un respiro silenzioso. E poi ci sono le mie esperienze personali. Quando avevo tredici anni, i miei genitori lavoravano moltissimo e ho passato quasi un anno da sola. Pranzavo a scuola, cenavo da mia zia, poi tornavo a casa a fare i compiti e guardare la televisione. Non parlavamo quasi mai al telefono - non c’era molta comunicazione tra noi. Non sapevo dire “mi mancate”, eppure avevo solo tredici anni. Essere figlia unica era normale in Cina: ti rende indipendente, ma lascia una traccia profonda.

Il tema dell’infanzia e della produttività ritorna spesso nelle sue opere. In Dollhouse (2022), la minuziosa casa delle bambole che ha dipinto, ogni stanza contiene in potenza una scena diversa: la dama distesa nuda sul divano mentre la tigre che le stava sopra si rizza di colpo alla vista del marito armato, o la donna che dorme placidamente accanto al camino mentre due tigri si accoppiano sul muretto. In questo intreccio di quotidianità e fantasia, la violenza, il desiderio e l’innocenza convivono come in un sogno, mantenendo intatta la leggerezza del gioco infantile.
Da bambina ero abituata a giocare da sola. Passavo ore a costruire case per le bambole con scatole di cartone, inventando storie. Credo che già allora avessi imparato a intrattenere me stessa e a trovare gioia nella solitudine. Detta così può sembrare triste, ma in realtà con quelle scatole realizzavo le mie prime “opere”: costruivo cose che mi rendevano felice. Oggi, invece, i bambini non hanno più tempo libero: sono iscritti a mille corsi, con l’agenda piena come piccoli manager. Eppure il tempo libero è fondamentale: è lì che nasce la creatività.

La costruzione di micro-mondi è molto presente anche nella sua produzione ceramica.
La ceramica mi consente di creare oggetti reali, carichi di memoria, e questo mi dà una profonda sensazione di pienezza. Nel 2022 ho realizzato una toeletta in ceramica intitolata Miss Pig. Ricordo che due ragazze si fermarono davanti all’opera durante una mia mostra personale e, sorridendo, dissero che ricordava quella della loro nonna. In quel momento mi sono sentita felice. La memoria è universale - forse è per questo che i miei lavori piacciono tanto agli anziani. Nei loro volti pieni di rughe e negli sguardi sereni si nascondono centinaia di piccole storie da scoprire.

Shafei Xia, Bystander, 2024, acquarello su carta di sandalo intelata. Foto: C.Favero. Courtesy l'artista e P420

Si sente più legata al passato o al presente?
Sono un po’ old school, ma non è questo che intendo! Mi piace tutto ciò che appartiene al passato. Le mie storie d’amore, sognanti o tormentate, hanno sempre una patina di assurdo e di nostalgia. I miei nudi conservano la femminilità ingenua delle dive di una volta: ammiccanti ma innocenti, vicine eppure lontane, come sogni sospesi. Anche quando cedono alle pulsioni carnali, le figure che dipingo restano permeate da un senso di distanza e poesia.
Come in quella canzone di Tom Waits, Ol’ 55:
“Well, my time went so quickly,
I went lickety-splitly,
Out to my ol’ 55…
Now the sun’s coming up,
Yes, the sun’s coming up.”
È quel sentimento lì: la dolcezza del tempo che scorre, la malinconia che sa ancora di vita. In fondo, siamo tutti sopravvissuti del tempo.

Colleziona?
La mia casa è piena di oggetti vintage, amo i mercatini: manifesti, arredi e tantissimi numeri di Playboy. Non mi piace il consumismo, né l’idea di comprare, usare e poi buttare.

Tra le altre cose, è ora tra i protagonisti di Fantastica, 18ª Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al 18 gennaio 2026, dove presenta due opere inedite: una serie di teste di tigre in ceramica e un nuovo dipinto in cui torna, ancora una volta, la figura della tigre. Può dirci di più sul suo ruolo nella sua opera?
La tigre è un simbolo ricorrente nel mio lavoro: rappresenta la forza e l’istinto, e nell’alchimia cinese incarna il principio attivo, l’energia contrapposta al principio passivo. Ma è anche un modo ironico per scambiare i ruoli tra uomini e donne, e tra esseri umani e animali. Mi piace pensare di essere una tigre gentile: forte, ma capace di tenerezza. L’arte è il mio modo di prendermi cura di me stessa, e gli animali sono entrati nel mio lavoro in un momento di sofferenza, aiutandomi a liberarmi.

Sono arrivati a “salvarla”?
Nella mia vecchia casa c’era un piccolo giardino, e il vicino teneva molte tartarughe. Davo loro dei nomi e le osservavo dalla finestra: litigavano, si muovevano lente, facevano l’amore. Con il tempo mi accorsi che, più restavo sola, più quelle tartarughe entravano nei miei dipinti. Mi hanno insegnato che per stare bene mi basta continuare a creare, che non è necessario parlare sempre di me: posso diventare spettatrice, raccontare storie altrui e trovare la felicità in questo sguardo.

Anche i titoli hanno un ruolo importante.
Sì, per me sono fondamentali. A volte arrivano prima dei quadri, come se sapessero già cosa sto per fare. Mi piace pensare che, messi insieme, formino una grande poesia.
In realtà scrivo anche poesie, ma per ora meglio restino tra amici: sono buffe e malinconiche, un po’ come i miei quadri.

Dove potremo vedere presto le sue opere?
Al MoMA, magari! Ma per ora resta un sogno.

Giorgia Aprosio, 03 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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