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Sgarbi, sulla mia mostra critiche che non tengono conto dei fatti

Vittorio Sgarbi

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Difficile rispondere a opinioni che prescindono dai fatti.
La nota del signor del Monticello sul sito ilgiornaledellarte.com racconta conferenza stampa, inaugurazione e pranzo (cui non ha partecipato) relativi alla (indubbiamente) «grande» mostra «Da Cimabue a Morandi» in Palazzo Fava a Bologna.
Ignorando il precetto vichiano Verum ipsum factum, l'opinionista parafrasa alcune mie osservazioni, e sembra rimproverarmi di avere realizzato un progetto che altri avevano già immaginato «negli ambienti accademici bolognesi da tempi immemori, vero omaggio a Francesco Arcangeli».
Forse voleva dire «tempi immemorabili», ma è certo che la mia mostra è dedicata a Roberto Longhi, seguendo la traccia della sua prolusione all'Università di Bologna nel 1934, quando Arcangeli era studente: e certamente diverso, basato su «tramandi» e non percorsi storici, sarebbe un omaggio a Francesco Arcangeli.
Del Monticello appare impreciso.
Sulla critica al mio stile o atteggiamento mentale, con il richiamo «a una presentazione istituzionale, con tanto di autorità pubbliche», riscontro la sua predilezione per la noia convenzionale delle conferenze stampa, in cui ognuno recita la parte del suo ruolo, spesso evitando gli unici temi che interessano i lettori, come tentare di spiegare una insensata polemica. Quello che ho fatto, più con ironia che con «disapprezzamenti da caserma», come scrive del Monticello nel suo improbabile italiano.
Ciò si intende anche dall'ossequio ai titoli che il del Monticello dichiara, cavalierati e onorificenze che corrispondono più alla retorica e alle amicizie che non ai meriti (per dire, Giacomo Debenedetti non ebbe mai la cattedra, e Carlo Scarpa non era laureato in architettura).
Tanto è avvezzo al sentito dire e ai pettegolezzi, e ossequioso ai cavalieri e alle cavallerizze, che m’ingiuria, attribuendomi «trafugamenti» (inventati da persone malevole e privi di ogni riscontro), di cui sarà chiamato a riferire in Tribunale, imparando a distinguere la realtà dei fatti dalle maldicenze che egli contribuisce a diffondere.
Quando del Monticello tenta di riflettere si perde, come se non fosse assolutamente evidente, con tante occasioni mancate perché alcuni capolavori fondamentali per il patrimonio artistico bolognese, dal San Sebastiano di Antonio Rimpatta citato dal Vasari in San Michele in Bosco, al Pasinelli commissionato proprio per Palazzo Fava, non siano stati acquistati, in difetto di conoscenza e di finanziamenti.
Ignora deliberatamente che un collaboratore di mercanti d'arte, e contemporaneamente professore nella cattedra che fu di Longhi, Daniele Benati, scoperto un capolavoro di Annibale Carracci dello stesso tempo degli affreschi di Palazzo Fava, non si è preoccupato di vederlo esportare per essere venduto in aste a Vienna e New York, senza pensare di segnalarlo a musei e fondazioni locali. Questo per del Monticello è assolutamente normale e non merita commenti.
Non soddisfatto, ignorando i doveri di un curatore rispetto ai suoi invitati, non valuta che debba rimanere fino alla chiusura della mostra, ma gli attribuisce maleducazione per il ritardo a un pranzo cui egli non partecipa, e pur lo vede accompagnato, immagino per sentito dire, comme d'habitude, «dalla consueta corte di nani, ballerine, funamboli e cavallerizze da circo».
Piccolo, ma non nano, e certamente non intellettualmente, è il mio miglior collaboratore. Gli altri che mi accompagnavano sono persone dabbene, tra cui importanti collezionisti, che non si sono riconosciuti e denunceranno il temerario e non spiritoso diffamatore.
Buon risultato per un articolo senza capo né coda. E infatti anche la coda racconta, in modo infedele, un'animata conversazione in cui io non discutevo la critica, peraltro da nessuno condivisa, sull'eccessivo numero di opere presenti in mostra (meglio molte che poche), ma l'insinuazione che chi mi dava ragione lo facesse per compiacermi, anche se semplicemente richiesto di un parere, non conoscendo le posizioni dei due contendenti.
Offesi gli invitati e i visitatori della mostra da chi pretendeva di essere la sola a esprimere un pensiero libero. Da qui la mia ira a tutela dei miei ospiti, liberissimi di criticarmi e non
«immobili spettatori, pavidi e impietriti, dimentichi come lo Sgarbi d’ogni regola di civiltà e di decoro».
Semplicemente offesi, come gli inesistenti «nani da circo» evocati dall'educatissimo del Monticello. Che ringrazio perché, pur offendendo anche restauratori, scienziati e studiosi che hanno riconosciuto la mano di Guido Reni nella Fortuna attribuita a Sirani, certo non per compiacermi, ne interpreta il significato di «buono auspicio» per la mostra.
press@vittoriosgarbi.it

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Vittorio Sgarbi, 24 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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