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Myriam Zerbi
Leggi i suoi articoliÈ l’integrazione perfettamente congruente, e dall’apparenza naturale, di elementi antitetici a rendere unico il linguaggio di Fabrizio Plessi. Negli anni Settanta, fu tra i primi a introdurre il video come materiale-veicolo del fare artistico e, assertore convinto che «la tecnologia è frigida. Il mezzo non è il messaggio e chi usa la tecnologia, come chi usa la matita, deve saper andare oltre», nelle sue videoinstallazioni, umanizzando e scaldando la tecnologia, coniuga realtà e finzione. Nel progetto veneziano «Plessi Liquid Life», organizzato dalla Fondazione Alberto Peruzzo e curato da Marco Tonelli alla Ca’ d’Oro, e nella monumentale installazione con quattordici Llaüt (imbarcazioni tradizionali delle isole Baleari per la pesca a strascico; nella foto) alla Tesa 94 dell’Arsenale (entrambi gli eventi sono visibili dal 5 maggio al 22 novembre), è l’acqua la grande protagonista, elemento primordiale di nascita e rigenerazione, metafora dello scorrer del tempo e del viaggio. «L’acqua è sempre stata il motivo dominante della mia vita e del mio itinerario artistico e culturale», sostiene l’artista, che nel 1971 presentò l’ironico paradosso di gigantesche spugne immerse nella laguna veneziana e che, con il totem tecnologico «Mare verticale», creò, per la Biennale del 2005, la più colossale videoscultura mai realizzata.
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