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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliPalermo. Dibattiti, film e documentari sul Mediterraneo: nell’ambito della Settimana Europea della Mobilità si è conclusa ieri ai Cantieri Culturali alla Zisa la terza edizione di Festambiente Mediterraneo (16-18 settembre) l’ecofestival internazionale di Legambiente dedicato ai temi del Mare nostrum. Un evento che vuole anche, come ha sottolineato Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, «contribuire affinché i Cantieri diventino un luogo di programmazione culturale». «Non è un caso, ha proseguito, che abbiamo inaugurato la festa con il dibattito “Mediterraneo, storia millenaria di contaminazioni. Un patrimonio culturale unico da tutelare e valorizzare”», ideato e coordinato da Fabio Granata, a cui sono stati invitati Ray Bondin, ispettore Unesco; Aurelio Angelini, direttore della Fondazione Unesco Sicilia e Sebastiano Tusa, soprintendente del Mare, Moncef Ben Moussa, direttore del Museo del Bardo di Tunisi, colpito il 18 marzo dell’anno scorso da un attentato terroristico, e che, impossibilitato a intervenire, ha fatto pervenire un messaggio in cui ha rimarcato l’importanza delle comuni radici culturali come tessuto connettivo tra i diversi territori europei e del Mediterraneo: «più di ogni ente di tutela, dall’Unesco al più piccolo museo regionale, ha detto, tale consapevolezza devono averla per prima le nuove generazioni, al fine di garantire un’autentica protezione al patrimonio».
Al dibattito ha preso parte anche «Il Giornale dell’Arte» con un intervento della nostra giornalista Silvia Mazza sul «Patrimonio nel Mediterraneo messo a rischio di sopravvivenza dai tanti conflitti e il ruolo della Sicilia». In un dialogo ideale, anche, col workshop che si è tenuto a Roma il 14 settembre scorso, alla presenza del sottosegretario Mibact Ilaria Borletti Buitoni e del presidente del Consiglio dei Beni culturali Giuliano Volpe sul tema della protezione del patrimonio dal secondo conflitto mondiale ai Caschi blu della Cultura, la Mazza ha parlato di un progetto con cui la Regione siciliana nove anni fa aveva anticipato l’istituzione della task force specializzata a intervenire in situazioni di crisi a tutela del patrimonio culturale mondiale. Tra gli obiettivi del progetto siciliano, a suo tempo proposto e avviato con la presentazione delle prime tappe della Carta del Rischio del Mediterraneo (ma non rifinanziato per disinteresse della politica) dal Centro del Restauro di Palermo diretto da Guido Meli, era, infatti, anche prevista la costituzione di un «gruppo di intervento permanente internazionale», attivo non solo nelle fasi dell’emergenza, come i Caschi blu della Cultura, ma anche in quelle della prevenzione, monitoraggio e indagine sul territorio per calibrare opportunamente le diverse attività correlate agli scenari dell’emergenza. Più in generale, quella che s’intendeva promuovere era una rete tra le Istituzioni preposte nelle diverse regioni del Mediterraneo alla tutela dei beni culturali, affinché si impegnassero concretamente nel definire ed applicare piani internazionali di adozione e mutuo soccorso del patrimonio, da attuare nelle emergenze in occasione di eventi calamitosi o di realtà territoriali complesse caratterizzate da forti instabilità politico militari.
«Se la costituzione dei Caschi blu della Cultura è un segno concreto dell’importanza che la comunità internazionale attribuisce alla protezione del patrimonio, va pure osservato, ha detto la Mazza, che ci si muove sempre nell’ambito della logica dell’intervento a emergenza in corso, quando, invece, il coordinamento interregionale che allora si voleva tessere per il patrimonio su proposta della Sicilia si colloca, piuttosto, nella sfera delle misure di prevenzione. La prevenzione resta un’azione molto più importante, complessa, di lungo periodo e dipendente dalle risorse mobilitate per la cooperazione culturale tra i Paesi. Se stessimo parlando di restauro, sarebbe in qualche modo la stessa distinzione che passa tra la politica a favore degli interventi veri e propri, costosi e mai neutri per il bene, e quella che considera prioritaria la manutenzione conservativa dello stesso».
Durante il dibattito, inoltre, in riferimento alle modalità con cui la macchina del Mibact si è mossa tempestivamente per la protezione del patrimonio colpito dal sisma del 24 agosto nel centro Italia, la nostra giornalista ha anche acceso i riflettori sulla chiusura, dal 2010, del Sistema informativo territoriale siciliano della Carta del Rischio: «Questo significa che in caso di terremoto in una regione come la Sicilia con elevata sismicità, operatori, Soprintendenze e Protezione Civile non possono più accedere alla banca dati online, dove, per esempio, cliccando sopra l’epicentro si apriva un ventaglio spaziale in cui era possibile individuare immediatamente, consentendo quindi di intervenire in maniera mirata, i beni compresi all’interno della cosiddetta “buffer zone” di influenza sismica e stabilire le priorità».
«La Sicilia, ha detto in chiusura Fabio Granata, con la proposta e il concreto avvio della Carta del Rischio del Mediterraneo, le cui premesse affondano nella Carta regionale del Rischio del Patrimonio avviata durante il mio assessorato ai Beni culturali, è stata avanguardia anche nello politiche di prevenzione. Adesso va rilanciato un indirizzo politico e culturale rigoroso, consapevoli della nostra centralità geopolitica e dell’importanza mondiale del nostro Patrimonio. Peraltro non esiste vera tutela senza autentica valorizzazione, così come l'Unesco ha sancito e proprio partendo dalla Sicilia in occasione del riconoscimento del nostro Sud-Est».
Da sinistra: Andrea Cusumano, Sebastiano Tusa, Fabio Granata, Aurelio Angelini e Silvia Mazza
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